Sono queste le conseguenze che il debutto del nuovo Isee dovrebbe produrre in ambito universitario.
L’utilizzo dell’Isee
L’indicatore della «situazione economica equivalente» è lo strumento che le università utilizzano per graduare i contributi studenteschi a carico degli iscritti e individuare chi ha diritto a borse di studio, alloggi (quando ci sono) e altri aiuti. L’Isee utilizzato oggi è vecchio di 16 anni, ma le regole sono state riformate nel 2011 con una serie di modifiche all’indicatore, fissate in un decreto attuativo del 2013. Da allora il nuovo Isee è tornato in naftalina, ma nei giorni scorsi il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, l’ha rilanciato annunciandone il debutto effettivo dal prossimo 1° gennaio.
Anche se questo calendario governativo fosse rispettato, nell’università ovviamente i primi effetti si avrebbero più tardi, cioè con le nuove iscrizioni al prossimo anno accademico.
Questi mesi, però, potrebbero essere sfruttati dagli uffici amministrativi e dai rettori per ridefinire gli scaglioni Isee che disciplinano tasse universitarie e diritto allo studio.
Le novità in arrivo
Sono parecchie le novità e possono cambiare anche radicalmente l’indicatore di ogni famiglia. Gli effetti più dirompenti, in realtà, potrebbero arrivare dalla nuova procedura, che limita i dati “autodichiarati” dal momento che le informazioni su redditi e trattamenti previdenziali e assistenziali dovrebbero arrivare direttamente dal Fisco e dall’Inps. Questo antipasto della “dichiarazione precompilata”, sulla falsariga di quanto previsto ora anche dalla riforma della dichiarazione dei redditi, dovrebbe tagliare di netto le tante informazioni parziali o scorrette che finora hanno garantito trattamenti privilegiati a chi non ne aveva diritto. Tutte le inchieste a campione, svolte dalla Guardia di Finanza in questo o quell’ateneo, hanno mostrato in questi anni un altissimo tasso di infedeltà nelle autocertificazioni Isee, ma ovviamente sono rimaste lontane dal dare una soluzione strutturale al problema.
Anche dai calcoli, pero’, arriveranno cambiamenti profondi. L’Isee, per esempio, appare destinato a schizzare verso l’alto per la casa di proprietà, che con il nuovo sistema sara’ calcolata in base al valore imponibile Imu, più alto del 60% rispetto al valore Ici utilizzato fino a oggi: il valore Imu viene abbattuto di un terzo, ma rimane comunque più alto di quello Ici.
Anche sul versante dei redditi, non mancano le novità che possono spingere l’indicatore verso l’alto. La riforma, infatti, fa rientrare nei calcoli tutte le entrate famigliari, comprese quelle soggette a tassazione separata (per esempio un affitto, su cui si paga la cedolare, oppure il Tfr); stessa sorte per gli assegni di mantenimento ricevuti dall’ex coniuge, i trattamenti assistenziali e le varie indennità, tutte voci finora ignorate dall’Isee.
Come accade per la casa, anche per i redditi vengono introdotti dei meccanismi di abbattimento dei valori, che tuttavia hanno un effetto limitato: in particolare, una nuova detrazione-base toglierà dall’Isee il 20% dei redditi da lavoro dipendente o da pensione. Scendono, invece, da 15.493 euro (i vecchi 30 milioni di lire) a 6mila le detrazioni relative al patrimonio mobiliare (azioni e titoli vari).
Il mix di questi fattori è destinato ad avere effetti molto differenziati a seconda della condizione di ogni nucleo famigliare, e non sarà facile per gli atenei rimodulare borse di studio e tasse universitarie in modo corretto.