Serve un chiarimento urgente.
Sui quotidiani odierni appaiono due notizie contrastanti. E non mi riferisco alle posizioni interne al PD sull’art.18 (mentre sugli altri e non meno importanti contenuti della delega, cioè le politiche attive di reinserimento al lavoro ed l’ estensione a tutti i lavoratori delle tutele sociali, cala un silenzio assordante), bensì alle risorse per la ricerca.
Da un lato si apprende, positivamente, della imminente approvazione del Piano nazionale della Ricerca. Scomparso dai radar della politica da oltre 8 mesi, oggi assurge ai titoli dei quotidiani. In esso si stabiliscono gli assi prioritari e le linee strategiche per fare ricerca e innovazione nel nostro Paese, da qui al 2020. Il Governo si impegna ad azioni concrete per portare le risorse pubbliche e private, da investire in ricerca e sviluppo dall’attuale infimo 1,1% del PIL ad un più europeo 2,5%. Si annuncia di fare affidamento anche sulle ingenti risorse europee. Ma come pensiamo di accaparrarci questi finanziamenti se abbiamo un terzo dei ricercatori e rispetto a paesi nostri vicini la percentuale cala paurosamente? Sarebbe come pretendere di vincere una competizione con un pesante handicap iniziale! In ogni caso l’intento di incrementare gli investimenti è meritorio e positivo ma cozza con un’altra notizia: il Miur annuncia per la prossima legge di stabilità tagli ai fondi statali per la ricerca e l’università, per contribuire alla spending review e recuperare le risorse necessarie alla stabilizzazione dei precari della scuola.
Mi auguro che la notizia venga smentita, sia per confermare coerenza alle azioni del governo, sia per dare gambe alla sola cura contro la crisi sociale ed economica che stiamo attraversando: investire in conoscenza, ricerca e innovazione.
Pubblicato il 26 Settembre 2014