La fretta non è, di regola, buona consigliera; fare non significa d’altronde fare automaticamente bene. Ecco perché quando Renzi, nel suo discorso programmatico, aveva annunciato che prima dell’estate il governo avrebbe approvato una riforma globale della giustizia molti avevano sorriso. Non perché non ritenessero importante quella riforma, ma perché appariva poco credibile che in un batter di ciglio il nascente esecutivo, affidato ad una maggioranza poco solida e coesa, riuscisse, in una materia incandescente, là dove nessuno prima era riuscito.
Meglio sarebbe stato, qualcuno sussurrava, procedere per gradi. Affrontare la riforma del processo civile, la meno divisiva e soprattutto la più urgente, dato che in tale settore recuperare efficienza significava aiutare in maniera diretta l’economia. Rinviare ad un secondo tempo le altre riforme, tutt’al più concentrandosi, nel primo passaggio, su taluni dei profili incalzanti della giustizia penale, quali (anche qui nella prospettiva di favorire gli investimenti) la tutela dell’economia legale e l’eliminazione dello scandalo delle prescrizioni facili.
La riforma approvata ieri conferma, a posteriori, che le preoccupazioni non erano infondate. Pressoché tutti i punti considerati nelle «linee guida» sono stati approvati dal governo. Le divisioni fra i due maggiori partiti di maggioranza su temi importanti quali la prescrizione, il processo breve e le intercettazioni, hanno determinato comunque una sorta di corto circuito. Il governo ha approvato, in un testo esaustivo, e nella forma del decreto legge, la riforma del processo civile e lo smaltimento dell’arretrato civile. Per il resto sono passati disegni di legge (o di legge-delega), alcuni dei quali espressione di compromessi fra linee politiche molto divergenti. E’ pertanto prevedibile che i contenuti potranno essere profondamente cambiati e che passeranno comunque anni prima che taluno di essi possa essere approvato dal Parlamento.
Cionondimeno, non si può dire che l’operazione/riforma sia a questo punto fallita. Tutt’altro. Ciò che soprattutto premeva al governo, era rendere celeri i tempi della giustizia civile. Se davvero le norme approvate ieri saranno ratificate dal Parlamento, e se davvero esse rispetteranno le aspettative, il risultato sarà comunque di grandissimo rilievo.
Ma veniamo alle altre parti della riforma. Meritano piena approvazione la rivitalizzazione del falso in bilancio e la previsione del reato di autoriciclaggio. Bene sarebbe stato rinforzare tuttavia, altresì, la forza di fuoco investigativa nei confronti della corruzione (parificando tali reati a quelli di mafia) e soprattutto, per rispondere alla urgenza, utilizzare nei confronti di questa parte della riforma penale lo strumento del decreto-legge.
In tema di responsabilità civile dei magistrati, la soluzione adottata (eliminazione di ogni filtro; responsabilità diretta dello Stato e indiretta del magistrato; diritto di rivalsa da parte dello Stato; limite quantitativo entro cui potrà essere chiesta la rivalsa) rappresenta un compromesso, tutto sommato ragionevole, fra i diversi punti di vista affiorati nel corso del dibattito.
Più articolata non può che essere la valutazione delle altre parti della riforma penale, innanzitutto di quelle concernenti la prescrizione e la ragionevole durata dei processi.
Il tema della prescrizione, in astratto, è assolutamente chiaro. I tempi necessari a prescrivere devono essere commisurati alla durata effettiva dei processi; se tali tempi sono troppo brevi rispetto alla gestibilità concreta dei procedimenti, il risultato è, inevitabilmente, la creazione di una massa di colpevoli impuniti. Di fronte ai guasti prodotti dalla legge ex Cirielli (che ha dimezzato i tempi della prescrizione senza assicurare un’abbreviazione degli iter processuali), si trattava di riallungare ragionevolmente i tempi della prescrizione e di accorciare, possibilmente, i tempi processuali. La riforma prevede, opportunamente, di sospendere la prescrizione per due anni nel corso del giudizio di primo grado. Su indicazione di Ncd sono state tuttavia, nel contempo, introdotte regole cogenti sulla durata processuale successiva (il processo dovrebbe, di regola, estinguersi se l’appello non dovesse chiudersi entro due anni). In questo modo si sono tuttavia, contraddittoriamente, introdotti principi che rischieranno di cagionare, per altro verso, abnormi cancellazioni di responsabilità.
La riforma ha nel contempo previsto alcune modifiche processuali dirette a ridurre la durata dei processi: es., interventi sull’udienza preliminare, sul patteggiamento, sulla riduzione delle impugnazioni (tema, peraltro, particolarmente controverso). Poiché si tratta d’interventi di impatto tutto sommato circoscritto, mentre i grandi temi che avrebbero potuto incidere davvero sulle lunghezze dei processi (es., forte riduzione del numero dei reati; regolamentazione dell’azione penale; conseguente drastica riduzione del numero dei processi) non sono stati affrontati, è verosimile che i risultati saranno, corrispondentemente, molto ridotti. Di qui l’importanza, allo stato decisiva, dell’allungamento dei tempi della prescrizione.
Su indicazione (sempre) dell’Ncd, è stata infine approvata, sia pure nella forma meno stringente del mero disegno di legge-delega, anche una nuova disciplina delle intercettazioni. Non s’intenderebbe, a quanto pare, circoscrivere il potere d’indagine della magistratura ma, semplicemente, ridurre la possibilità di pubblicare contenuti intercettati riguardanti terzi e non attinenti al processo. Il nodo delle intercettazioni, pur affrontato formalmente, dovrebbe essere comunque sospeso in attesa della, annunciata, consultazione dei direttori delle testate e delle proprietà dei media. Anche qui, vedremo. Sul tema l’attenzione deve essere comunque molto vigile, essendo in ogni caso in gioco il diritto di informare ed il diritto di essere informati.
Pubblicato il 30 Agosto 2014