Per la prima volta in Italia una bambina di cinque anni è ufficialmente figlia di una coppia gay: ha due mamme e porta i loro due cognomi. Una, riconosciuta da sempre dalla legge, è la madre biologica che l’ha partorita. L’altra è la madre “sociale”: la compagna degli ultimi dieci anni di vita, sposata all’estero, che con la partner ha desiderato e cercato un figlio con la fecondazione eterologa in Spagna e che dopo la nascita ha svolto in tutto e per tutto il ruolo di genitore. Per lo Stato italiano lo è esattamente da due mesi, da quando il 30 giugno scorso il Tribunale dei minorenni di Roma ha accolto il suo ricorso per l’adozione, riconoscendo la piccola come figlia della coppia. Una decisione che ha acceso l’entusiasmo della comunità omosessuale (una «sentenza storica che infrange un tabù») e spaccato il mondo politico tra chi vuole una legge il prima possibile e chi difende a spada tratta la famiglia tradizionale.
«È il primo caso in cui nell’interesse del bambino — spiega la presidente del Tribunale dei minorenni Melita Cavallo — è stata riconosciuta la qualità e solidità del rapporto e si è stabilito che anche un’altra donna può assumere la figura del secondo genitore». La decisione è stata presa in base all’articolo 44 della legge 184 del 1983, che contempla l’adozione in casi particolari, nonostante il parere negativo del pubblico ministero per cui mancava il presupposto costituito «da una situazione di abbandono» e che ora potrebbe fare ricorso. «Si è tenuto conto dell’interesse del minore a mantenere con la madre sociale quella relazione di affetto e convivenza consolidato nel tempo — continua Cavallo — tanto più che la madre della bambina ha espresso il suo consenso e che negare tale diritto a una coppia lesbica solo in ragione dell’omosessualità sarebbe stato lesivo del principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione».
La sentenza tecnicamente dà il via anche nel nostro Paese all’istituto anglosassone chiamato stepchild adoption, letteralmente “adozione del figliastro”, che all’estero si riferisce in particolare all’adozione nelle coppie gay dei figli del partner. E che da noi potrebbe aprire la strada a decine di analoghi ricorsi: «Solo nella nostra associazione sono centinaia i bambini nella stessa situazione — spiega la presidente di “Famiglie Arcobaleno” Giuseppina La Delfa — e siamo in migliaia ad aspettare di sistemare la questione della protezione dei minori e dei coniugi non riconosciuti dalle possibili crisi e casi della vita. Ma perché lo Stato obbliga i cittadini che vogliono assumersi responsabilità a agire presso i tribunali invece di provvedere con una legge?».
Il provvedimento, arrivato dopo la sentenza della Cassazione che l’11 gennaio 2013 apriva alla possibilità che i figli vengano cresciuti da coppie gay e dopo il via libera della Corte di Strasburgo, non riconosce in generale l’adozione alle coppie gay né concede un diritto ex novo. «Ma garantisce nell’interesse di una minore la copertura giuridica a una situazione consolidata» chiarisce il legale della coppia Maria Antonia Pili, presidente dell’associazione italiana degli avvocati per la famiglia e per i minori del Friuli Venezia Giulia, «riconoscendo diritti e tutela a quei cambiamenti sociali e di costume che il legislatore fatica a considerare, nonostante le sempre più diffuse e pressanti rivendicazioni».
Subito si sono alzate le barricate della destra e dei cattolici. Carlo Giovanardi (Ncd) parla di «una sentenza eversiva che scardina i principi della Costituzione », Maurizio Gasparri (Fi) minaccia di denunciare i magistrati mentre Lucio Malan (Fi) grida al «golpe contro il potere legislativo del Parlamento e la Costituzione ». Altrettanto critici i cattolici: «È una fuga in avanti — dice il presidente dell’Unione giuristi cattolici italiani Francesco D’Agostino — e una sentenza ideologica che crea un paradigma presente in altri Paesi, dove però c’è una legge che lo riconosce».
Pubblicato il 30 Agosto 2014