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"La rivincita del Rinascimento", di Nuccio Ordine – Il Corriere della Sera 18.08.14

Il ruolo della cultura italiana dal Medioevo all’età moderna nel progetto per la costruzione di una nuova identità europea

Mentre il nostro patrimonio monumentale e artistico soffre di quotidiane difficoltà, mentre le nostre biblioteche e i nostri archivi di Stato vengono spesso abbandonati al degrado, mentre i nostri scavi archeologici rischiano di sgretolarsi, il prestigio dell’Italia continua ancora a pulsare nei centri di studio sul Rinascimento più prestigiosi d’Europa. In Francia, in Germania, in Inghilterra e in Spagna importanti centri di ricerca considerano la nostra lingua e la nostra letteratura, le nostre opere d’arte e i nostri centri storici, i nostri scienziati e i nostri filosofi, i nostri musicisti e i nostri architetti come una grande ricchezza della cultura europea.
Un «mito» dell’Italia che — nonostante il disimpegno degli Istituti italiani di cultura all’estero, progressivamente depotenziati e ormai trasformati soprattutto in vetrine di prodotti commerciali — continua a sopravvivere grazie allo straordinario patrimonio che abbiamo ereditato.
Del ruolo della cultura italiana nel Rinascimento e dell’importanza della cultura rinascimentale nella complessa e contraddittoria costruzione contemporanea dell’identità europea, parliamo con quattro studiosi che dirigono prestigiosi istituti e seminari di ricerca. In occasione della nascita a Cosenza del «Centro Internazionale di Studi Telesiani Alain Segonds» e del «Coordinamento dei centri di ricerca europei sul Rinascimento», abbiamo incontrato Peter Mack (direttore del Warburg Institute di Londra), Jürgen Renn (direttore dell’Istituto di Storia della Scienza del Max Planck di Berlino), Maria José Vega (direttrice del Seminario di Poetica del Rinascimento dell’Università Autonoma di Barcellona) e Philippe Vendrix (direttore del Centre d’Etudes Supérieures de la Renaissance di Tours).
La centralità della nostra lingua e la presenza di studiosi italiani nei gruppi di ricerca sono due condizioni che ritornano con insistenza nei discorsi dei nostri quattro interlocutori. «Nell’Istituto Warburg — esordisce Peter Mack — chi vuole studiare il Rinascimento deve conoscere bene l’italiano e il latino. Abbiamo molti studenti, dottori di ricerca e professori italiani che frequentano la nostra biblioteca, ma chi si iscrive ai nostri corsi deve essere padrone della lingua. La cultura italiana e le sue espressioni artistiche occupano un posto centrale nei nostri programmi scientifici, sin dai tempi di Aby Warburg. Non a caso dei quattro professori che insegnano da noi, due sono italiani: Guido Giglioni e Alessandro Scafi».
«Dopo il tedesco e l’inglese — aggiunge Jürgen Renn — l’italiano è la lingua più parlata. Il nostro Istituto, nato nel 1994, si occupa di storia della scienza dall’antichità alla contemporaneità. All’interno di un arco cronologico così vasto, il Rinascimento occupa una posizione di grande rilievo: è un periodo chiave per capire l’evoluzione della scienza verso la modernità. E, naturalmente, in questo contesto l’Italia assume un ruolo importantissimo. Per questo abbiamo intrecciato rapporti scientifici con il Museo Galileo di Firenze, diretto da Paolo Galluzzi, e con l’Università di Bergamo, il cui rettore Stefano Paleari è venuto più volte a Berlino. Tra i tanti ricercatori stranieri che lavorano da noi, il gruppo italiano è certamente il più consistente: penso, tra gli altri, a Matteo Valleriani (che si occupa di idrodinamica) e a Pietro Omodeo (che indaga il dibattito astronomico tra Cinque e Seicento)».
«Nel nostro seminario sulle poetiche rinascimentali — sottolinea Maria José Vega — l’italiano è la prima lingua dopo il castigliano e il catalano. Tutti i nostri collaboratori lo leggono e lo parlano. E tra i ricercatori di cinque Paesi europei che ne fanno parte, quasi un quarto sono italiani. Per noi, che studiamo con particolare attenzione la letteratura spagnola e la sua diffusione, è fondamentale misurarsi con il dibattito teorico sulla poetica e sui commenti ad Aristotele: abbiamo tradotto Robortello, Bonciani e altri trattatisti e, recentemente, abbiamo scoperto una traduzione spagnola perduta della Circe di Gelli, pubblicata nel 1551, l’unico esemplare rimasto. Con il sostegno dell’Istituto Catalano di Ricerca Avanzata e del governo spagnolo, il nostro gruppo lavora su testi latini, italiani e spagnoli dell’Europa controriformista, per cercare di capire le condizioni di scrittura e di lettura dei libri…».
«Anche a Tours — aggiunge Philippe Vendrix — la cultura italiana è stata sempre essenziale nelle nostre linee di ricerca. Basti pensare al fatto che nel 1956, al momento della nascita del centro, il quadro cronologico tracciato dai fondatori prevedeva un itinerario segnato da due grandi autori, Petrarca e Cartesio: quasi a sottolineare il legame tra i nostri due Paesi e l’Europa. Un legame che investe anche il territorio: nella regione di Tours, per esempio, è fortissima la presenza di Leonardo da Vinci. Nel corso degli anni la collaborazione con centri e ricercatori italiani è stata importante. Non a caso ci sono gruppi che lavorano su Leonardo (su cui stiamo preparando una mostra straordinaria che andrà anche a Tokyo e a New York), su Gesualdo da Venosa (vogliamo mettere in rete la sua produzione musicale) o sulla diffusione dei libri italiani in Europa (con particolare attenzione agli spostamenti dei tipografi)».
Proprio di fronte all’attuale crisi politica dell’Europa (testimoniata in maniera lampante dai risultati delle ultime elezioni) e al diffondersi in diversi Paesi di rivendicazioni localistiche e regionalistiche, riflettere sulla «repubblica delle lettere» e sulla circolazione di scrittori, artisti, filosofi nei vari centri culturali europei durante il Rinascimento potrebbe essere un’utile base di partenza per ridiscutere un’identità sempre più frantumata: all’odierna Europa delle banche, della finanza e del commercio, potrebbe contrapporsi un’Europa della cultura, della libera circolazione delle idee e degli uomini, in cui la riscoperta del passato — e il dibattito sulla pluralità e la differenza, determinato dalle grandi rivoluzioni religiose, cosmologiche e geografiche — diventa uno strumento per comprendere il presente e prevedere il futuro.
«Nel Medioevo e nel Rinascimento — riprende Mack — c’era, in un certo senso, un’Europa unita sul piano intellettuale. Nel Medioevo, particolarmente, il latino era una lingua franca in cui si esprimevano i vari saperi (letteratura, scienza, filosofia, teologia) e che consentiva ai principi di comunicare tra loro. Nel Rinascimento la cultura classica (latino e greco assieme) occupa una centralità nei processi dell’identità europea. Ma non bisogna dimenticare che le varie letterature si esprimono anche attraverso le nascenti lingue nazionali, talvolta molto distanti tra loro, come appare nel Nord Europa. Ma è proprio qui la sfida: far convivere identità e differenza…».
«La nozione dell’identità — incalza Vendrix — è molto complessa. Nel Rinascimento gli storici ritrovano le radici di come una identità si possa costruire attraverso una serie di intrecci e di cambiamenti radicali. La Riforma religiosa rivoluzione le coscienze, il copernicanesimo rivoluziona il cosmo, la scoperta dell’America rivoluziona la geografia e l’antropologia. Si tratta di un’Europa che scopre la differenza e che sperimenta in maniera positiva coabitazioni tra saperi e popoli diversi, tra culti e culture differenti. Un confronto con l’«altro» che ci fa capire l’importanza di processi che si esprimono in maniera plurale: non esiste l’identità, ma esistono le identità…».
«Se pensiamo alla nascita della scienza moderna — specifica Renn — ci rendiamo conto che il Rinascimento esalta la combinazione di saperi scientifici e saperi umanistici. La scienza non è un’attività isolata dal contesto, ma interagisce con uomini e con esigenze vitali. Considerare oggi la ricerca scientifica come pura e unica espressione di esigenze economiche e militari sarebbe un errore gravissimo: i legami con la cultura umanistica, con l’arte, sono fondamentali per ritrovare un legame essenziale con l’umanità…».
«E non bisogna dimenticare — conclude Vega — che il Rinascimento è segnato anche dall’invenzione della stampa e dalla circolazione dei libri, di quei “maestri muti” che penetrano nella case e nelle coscienze non solo dei signori e dei ricchissimi, come accadeva con i manoscritti. E questa circolazione dei libri e delle idee — nonostante le guerre e le divisioni, nonostante l’intolleranza e l’Inquisizione — era un momento costitutivo della repubblica europea delle lettere…».