Benché l’attenzione mediatica sia tutta per le riforme istituzionali, è sull’economia che si profilano i maggiori rischi, per il governo e per il Paese. È vero, nessun crack imminente è all’orizzonte in questo agosto 2014. Ma far suonare il campanello d’allarme è la continua conferma dei dati deludenti sull’andamento dell’economia italiana. La recessione è finita da mesi, eppure non si vedono segni significativi di ripresa; il dato è particolarmente preoccupante proprio alla luce della caduta precedente, cui avrebbe dovuto seguire un rimbalzo ben più deciso.
La mancata ripresa è un rebus che gli economisti faticano a decifrare. La spiegazione sta probabilmente in una molteplicità di fattori concorrenti, internazionali (il rallentamento delle economie europee più forti e dei Paesi emergenti) e nazionali di natura sia congiunturale (anni di politiche di austerità hanno lasciato il segno) che strutturale (la moneta unica, l’inadeguatezza della nostra specializzazione produttiva).
Il nuovo governo aveva puntato le sue carte su un rilancio dei consumi (gli 80euro) rinviando alla seconda parte dell’anno la definizione delle coperture e il conseguente contraccolpo negativo sulla domanda. La scommessa era che l’effetto positivo immediato potesse creare le condizioni per rendere meno dolorosa la successiva quadratura del bilancio. Dati e previsioni sembrano invece confermare che l’aumento del potere di acquisto dei dipendenti, percepito forse come non permanente nonostante le rassicurazioni del governo, non ha fornito la spinta sperata.
Lo stesso annuncio di riforme economiche radicali, se da un lato serve a rassicurare l’Europa e a conferire al governo un’immagine di dinamismo, dall’altro potrebbe aver determinato un contesto di incertezza poco favorevole alla ripresa. Se la prospettiva di tagli nel pubblico impiego, nelle forniture pubbliche, nella sanità, ha ovvi effetti negativi sulle decisioni di investimento delle imprese fornitrici e sulle decisioni di spesa dei dipendenti pubblici interessati, l’incertezza su riforme annunciate ma ancora indefinite finisce per influenzare i comportamenti di una platea ben più ampia di quella rappresentata da coloro che saranno effettivamente colpiti; il timore di essere tra coloro che verranno penalizzati può frenare l’acquisto di beni durevoli e l’avvio di programmi di spesa a lunga scadenza.
La partita vera sarà giocata in autunno, con la legge di stabilità 2015 ma prima ancora con la nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, che dovrà indicare eventuali interventi correttivi per il 2014. Con le prospettive di crescita riviste al ribasso, sembra difficile che l’Italia possa evitare la procedura di infrazione. Il ministro Padoan sembra confidare nella conquista di spazi di flessibilità.
Lo sforzo di allentamento degli ottusi vincoli europei che impediscono politiche espansive va sostenuto. Del resto, lo sforzo del governo Letta per rispettare tali vincoli non è stato premiato come forse si sperava, a dimostrazione che fare i compiti a casa non basta ad ammorbidire chi conduce la politica europea. Resta da capire se l’approccio più aggressivo del governo Renzi possa portare a risultati diversi. È presto per dirlo, il semestre di presidenza italiana è solo all’inizio,maa giudicare dalla mancata concessione di un pur blando rinvio del pareggio strutturale al 2016 c’è di che essere pessimisti.
Va inoltre considerato che qualche decimale di flessibilità servirebbe forse ad evitare tagli pesanti al welfare ma difficilmente, in mancanza di un’azione espansiva concertata a livello europeo, potrebbe determinare un’inversione di rotta. Parte delle speranze sono riposte in un possibile programma di investimenti finanziato con project bond europei. L’interrogativo a riguardo è tuttavia sulla disponibilità dei nostri partner, sui tempi di attuazione e sulla dimensione del programma: troppe volte i tavoli europei si sono risolti in misure poco più che simboliche.
Non facciamoci dunque troppe illusioni: non esiste il proiettile d’argento, la formula magica, capace di portarci senza costi fuori della crisi. Ciò non significa tuttavia che l’unica possibilità sia quella di proseguire sul sentiero tracciato delle politiche di austerità, la cui inefficacia risulta ogni giorno più evidente. Non è un caso che sempre più economisti, anche tra quelli meno «eterodossi», comincino a suggerire vie d’uscita non convenzionali. Guido Tabellini ha recentemente suggerito la strada dell’acquisto di titoli pubblici da parte della Bce; Lucrezia Reichlin ha parlato esplicitamente di ristrutturazione del debito. Sono proposte che mettono in discussione alcuni totem, quali la separazione tra politica monetaria e politica fiscale nell’azione della Bce e l’intangibilità degli interessi dei detentori di debito pubblico. Totem cui corrispondono evidenti interessi nazionali.
Proprio per questo è molto difficile che tali soluzioni siano accettate. Bisogna avere tuttavia consapevolezza che l’alternativa è arrivare al punto di dover abbandonare, prima di quando ci aspettiamo, il totem dei totem, quello dell’irreversibilità della moneta unica.
da L’Unità