C’era una volta un Paese che faceva l’Europa e quando il suo presidente prese per mano il cancelliere tedesco sui campi dove fino a qualche decina di anni prima i loro padri si erano sparati da trincee impastate di fango e di sangue (era il 1984) tutti capirono che la storia aveva davvero fatto un salto. Quel Paese appare oggi come il fantasma del suo passato.
La Francia è incerta, lacerata, indebolita, incapace di interpretare il suo ruolo. Ma se è vero che l’Europa non dipende più da Parigi, è anche vero che è impossibile fare l’Europa senza.
Wolfgang Schauble, ministro delle Finanze tedesco, l’ha detto chiaro e tondo in un’intervista di questi giorni a Les Echos e Handelsblatt con il collega francese Michel Sapin: «Noi sappiamo che riusciremo a far progredire l’Europa e soprattutto la zona euro solo se Francia e Germania esprimeranno soluzioni comuni… Dovremo trovare soluzioni comuni per 28 paesi, ma questo è possibile solo se Francia e Germania sono unite».
L’insistenza di Schauble sottolinea per l’appunto il soggetto che manca in questo momento di vita europea, mentre l’Unione galleggia in un tempo sospeso ed irreale nell’attesa che si depositi un difficile consenso a 28 sulla composizione della Commissione che da settembre prenderà in mano il governo del continente. L’Italia ha presentato la candidatura Mogherini al posto di Alto commissario per la politica estera e il destino di quest’avventura sembra di non facile soluzione. Ma il vero scontro è sulla poltrona di commissario agli affari economici e monetari, vale a dire del custode del fatidico patto di stabilità che governa l’euro e le nostre economie. I francesi vogliono quel posto per il socialista Pierre Moscovici, ministro delle Finanze di Hollande fino a quando il ciclone Le Pen ha imposto il rimpasto. Ma si può accordare quel posto al rappresentante di un paese in procedura di deficit? Parigi, in difficoltà con i conti, ha chiesto di derogare alla regola del 3 per cento fino al 2015 compreso e non sembra certo nelle condizioni di chiedere agli altri il rispetto delle regole.
I tedeschi, infatti, non ne vogliono sapere. Il cristiano democratico Schauble, irritato anche per la promessa di Juncker ai socialisti, ha detto: «Queste decisioni hanno una portata simbolica, non va dimenticato… Può essere un socialista o qualcun altro». Norbert Barthle, presidente della commissione finanze del Bundestag, è stato ancor meno diplomatico del suo ministro: «Moscovici a guardia del patto di stabilità è come pensare di cacciare il diavolo con Belzebù».
Dove si è persa la Francia? I giornali di questi giorni rappresentano in modo plastico lo smarrimento di un paese. A Saint-Nazaire, davanti ai cantieri navali dove si costruiscono i portaelicotteri classe Mistral (22 mila tonnellate, 450 uomini di equipaggio, sedici velivoli da guerra sul ponte) venduti alla Russia con un contratto firmato da Sarkozy, una piccola folla ha manifestato contro il governo: «Se vendete armi a uno stato terrorista siete complici degli assassini». Dopo l’abbattimento dell’aereo malese in Ucraina, per quanto noto a tutti, il business degli armamenti francesi nel mondo è diventato più che imbarazzante. Il governo non commenta, il contratto con Mosca non è messo in discussione. Eppure solo un anno fa Hollande voleva dichiarare una guerra umanitaria al siriano Assad alleato di Putin.
Ancora più scivoloso e simbolico il ritorno di un fantasma mai del tutto sconfitto, l’antisemitismo. È un vecchio sentimento sociale e culturale che fece del governo collaborazionista di Vichy il più solerte alleato di Hitler nell’inviare gli ebrei nei campi di sterminio. Un sentimento che riaffiora qua e là in ogni crisi israelo-palestinese e che si salda con un «nuovo» antisemitismo di banlieue, espresso in modo violento dai giovani immigrati e figli di immigrati ad ogni sussulto di intifada.
Anche in questo caso il governo si è mosso in modo maldestro vietando le manifestazioni pro-palestinesi con la giustificazione di voler impedire ogni espressione di antisemitismo. Il risultato è che le manifestazioni si sono fatte lo stesso trasformandosi ovviamente in guerriglia tra polizia e manifestanti. In città «sensibili» della cintura parigina come Sarcelles negozi e luoghi gestiti da ebrei sono stati assaltati, nei quartieri e nelle cité è pericolosissimo portare la kippà, abitualmente piuttosto diffusa in Francia dove vive la più grande comunità ebraica d’Europa. Mai tanti ebrei francesi come in questi ultimi mesi hanno chiesto di emigrare in Israele.
François Hollande è attaccato da destra e da sinistra. François Fillon, il primo ministro di Sarkozy, oggi insieme al «vecchio» Alain Juppé, la faccia più presentabile della destra repubblicana, in un’intervista a Le Monde, ha detto che il presidente socialista vive in una «bolla» staccata dalla realtà del paese. Molto più duro e urticante Edwy Plenel, direttore del quotidiano online Mediapart, che accusa il presidente di «mollettismo» e cioè di parlare la lingua della sinistra ma di condurre una politica di destra, di usare lo spauracchio dell’antisemitismo per negare l’abisso sociale delle banlieues.
Dov’è finita la Francia che servirebbe all’Europa? Il primo ministro Manuel Valls, messo da Hollande sulla poltrona di Matignon dopo lo choc Marine Le Pen, riconosce nell’intervista di ieri al Paìs che il paese è bloccato, che manca il coraggio di cambiare e non mantiene la promessa di rompere gli schemi come un Renzi francese. Se il motore era tedesco, la guida politica – come fu nel caso della decennale e lungimirante presidenza di Jacques Delors alla Commissione – era francese. Ora all’Europa manca la Francia, ma come si fa se la Francia manca a se stessa?
da La Stampa