La versione più rassicurante (forse, chissà, anche la più vera) vuole che il premier Renzi sia alquanto compiaciuto per l’ostruzionismo dei Cinque Stelle, arricchito ieri sera dalla breve marcia sul Quirinale insieme ad altri esponenti dell’opposizione. Il premier ritiene infatti di ricavarne un considerevole aumento di popolarità.
Il ragionamento ha una sua logica. Come dire: più si scatena la protesta disordinata contro la riforma, più rifulge il dinamismo innovatore del presidente del Consiglio. Peraltro il merito del disegno di legge costituzionale è già quasi dimenticato, seppellito sotto gli ottomila emendamenti e ucciso nello scontro delle opposte propagande. Per cui anche la ghigliottina che ora calerà sugli ostruzionisti sembra un po’ la scena di una commedia in cui ciascuno recita la sua parte e incarna un certo ruolo.
Renzi veste i panni del decisore che non guarda in faccia a nessuno. L’uomo forte che non esita quando si tratta di rimuovere i sassi lungo il proprio cammino, fossero pure i dati del Fondo monetario: «Che la crescita sia dello 0,3 o dello 0,8 o dell’1,5 per cento non fa alcuna differenza per le persone» ha detto ieri con bella sicurezza. In ogni caso, quella del Senato è una riforma a portata di mano e serve proprio a consolidare il profilo del super-riformatore nemico delle “caste” e delle burocrazie.
A loro volta, i grillini e altri gruppi d’opposizione hanno ottenuto d’essere individuati dall’opinione pubblica come gli intransigenti nemici del “renzismo”. La ghigliottina che in via di metafora taglia loro la testa, in realtà li rimette al mondo, offre loro una visibilità che negli ultimi tempi era parecchio appannata.
Renzi pensa che il caos del Senato finisca per regalargli tanti voti e un accresciuto gradimento presso la gente che non capisce più la linea dei Cinque Stelle. Quanto alle accuse di “golpe”, la risposta è già pronta: si farà in ogni caso il referendum confermativo finale, il che vuol dire che ci si prepara ad approvare la riforma al di sotto della soglia dei due terzi.
Grillo a sua volta è diventato il primo difensore della Costituzione perché lì è lo spazio che si è trovato ad occupare, date le circostanze. Lo ha fatto con la solita spregiudicatezza, prima favorendo l’ostruzionismo politico, poi autorizzando il corteo al Quirinale. Non tutto è chiaro in questa strategia, visto che Napolitano è stato oggetto per mesi degli insulti più vergognosi da parte dei Cinque Stelle; adesso invece viene riconosciuto all’improvviso come il garante della Costituzione. L’uomo che, se solo volesse, potrebbe fermare la deriva verso la dittatura.
Ognuno tira l’acqua al suo mulino, in una logica che diventa sempre più elettorale, protesa alla ricerca e al consolidamento del consenso. Ovviamente Napolitano non si è prestato a questo gioco e non ha ricevuto il fronte della protesta, complice un piccolo e opportuno malessere. Del resto, quello che aveva da dire il presidente lo aveva già detto nel discorso di martedì 22 e nei colloqui riservati del giorno dopo. La ghigliottina è un rimedio sgradevole e non fa bene all’istituto parlamentare, ma l’ostruzionismo senza limiti rischia di provocare un danno maggiore.
Adesso il vero rischio è che nella guerra in cui ciascun contendente cura soprattutto la propria immagine, si perda di vista la sostanza della riforma e i possibili correttivi da apportare al testo. È un tema del tutto estraneo alla questione degli ottomila emendamenti. Ci sono punti su cui accordi e convergenze sono possibili, in vista di migliorare ancora riforma. E forse è il caso che su questo aspetti ci si fermi un momento a riflettere.
da Il Sole 24 Ore