In politica la forza vale non meno delle idee. Lo sa bene Renzi, che ne ha accumulata tanta e che anche grazie a questa leva ha suscitato grandi aspettative. Tuttavia la forza non si esprime soltanto attraverso il conflitto. Ci sono momenti in cui è più saggio spenderla per evitare una contrapposizione sterile, per raggiungere un buon compromesso, per fissare un punto e ripartire. Al Senato è questo il momento. Le minacce, il muro contro muro, portano svantaggi assai maggiori a chi vuole condurre in porto la riforma rispetto a quanti alzano barricate denunciando «involuzioni autoritarie».
La paralisi del Senato è grave. È una pessima immagine del Paese. Sull’ostruzionismo convergono intenti diversi: chi vuole bloccare del tutto le riforme, chi vuole correggerle. Anche per questo è necessario che la maggioranza assuma un’iniziativa positiva per distinguere e tentare di allargare il consenso. Renzi vuole la riforma anche perché essa diventi il simbolo del cambiamento possibile. Perché segni la nuova stagione politica dopo tanti progetti incompiuti o falliti. Ma sbaglierebbe a esasperare il tema istituzionale, costruendo su di esso le categorie di amico e nemico: la vera priorità per i cittadini, e dunque per il governo, resta pur sempre il lavoro, la crescita che non ci sarà neanche nel 2014, la ripresa nuovamente rinviata. Tra tutte le minacce ascoltate in questi giorni, la più sterile appare proprio quella delle elezioni anticipate: al di là delle intenzioni di chi la formula, non produce vantaggi al premier. Perché è un’arma spuntata: con la legge proporzionale, scaturita dai tagli della Consulta, ci sarebbe soltanto un Parlamento ingovernabile nel quale il Pd rischierebbe di perdere la guida del governo pur in presenza di un buon risultato elettorale. Bene ha fatto ieri Piero Fassino, che di Renzi è un sicuro sostenitore, a dire che l’orizzonte del governo resta quello dei prossimi due anni. La sintonia con il Paese è sempre legata alle speranze di una svolta economica e sociale.
Sulla riforma del bicameralismo Renzi ha già ottenuto risultati importanti. Il lavoro in commissione ha migliorato il testo proposto dal governo, riducendo le distanze di merito con i dissidenti e tuttavia tenendo fermi i punti-cardine fissati dal premier. Non avrebbe senso disperdere questi risultati sulle barricate dell’ostruzionismo. Non sarà l’8 agosto o il 15 il discrimine tra la vittoria e la sconfitta. Renzi ha anche ricevuto dal Capo dello Stato un importante sostegno. Napolitano ha ricordato che il bicameralismo paritario è sempre stata considerato un’anomalia: e dunque nessun opportunismo può oggi trasformarlo di colpo in una garanzia costituzionale. Il presidente comunque ha sottolineato come il nuovo Senato imponga significative modifiche alla legge elettorale.
Ecco, da qui potrebbe partire una nuova offensiva del dialogo da parte del governo. Si approvi la riforma del Senato, magari migliorando taluni aspetti ancora confusi o contraddittori, poi il governo stesso assumerà l’impegno di correggere l’Italicum (che nella versione uscita dalla Camera appare incompatibile con il nuovo quadro costituzionale). Una dichiarazione di questa natura potrebbe raffreddare l’ostruzionismo e, al tempo stesso, rafforzare le buone ragioni di chi vuole condurre davvero in porto le riforme. Se i senatori non saranno più eletti dal popolo, almeno il popolo potrà scegliere direttamente i deputati? Se avremo una sola Camera politica, si potranno eliminare quelle assurde soglie differenziate dell’Italicum e stabilire finalmente uno sbarramento uguale per tutti? Avere un governo più forte – giusto obiettivo delle riforme – non vuol dire sacrificare oltre misura la rappresentanza e l’autonomia del Parlamento.
Dal suo punto di vista, Renzi fa bene a non cedere sui punti che considera cruciali. Ma non si capisce perché restare con l’elmetto in trincea, invocando la ghigliottina parlamentare o il lavoro notturno e domenicale del Senato. Invece di ingaggiare una battaglia campale, che inevitabilmente si combatterà con le armi della demagogia e della propaganda, si può anche sfidare l’ostruzionismo con un rilancio politico. Stiamo parlando della Costituzione italiana, non di un qualunque decreto. Si può dire fin d’ora, ad esempio, che il tema più generale dei contrappesi e delle garanzie costituzionali verrà demandato compiutamente al lavoro della Camera, in seconda lettura, dopo che il Senato avrà completato il suo testo. Si può anche ammettere – non sarebbe affatto un segno di debolezza – che le garanzie sono ancora carenti e che i contrappesi vanno ulteriormente rafforzati. Se il governo sarà in futuro titolare dell’agenda parlamentare, è giusto che le leggi di iniziativa popolare e i referendum siano considerati come un autentico bilanciamento dei poteri. La stessa platea dei grandi elettori del Capo dello Stato va rivista in modo da evitare che la Camera iper-maggioritaria condizioni quella scelta e cambi la natura stessa del presidente.
In questo modo il governo diventerà più forte anche se le forze dell’ostruzionismo dovessero respingere l’offerta di dialogo. I Cinquestelle vanno molto più in difficoltà quando li si invita al confronto, e si apre alle loro proposte ragionevoli, anziché quando si alimenta la contrapposizione e la delegittimazione. Le riforme sono necessarie. La partita è troppo importante per farla precipitare in una zuffa. La Costituzione è troppo importante per non chiedere sempre uno sforzo aggiuntivo di condivisione. Peraltro, dal confronto possono venire spunti per migliorare la qualità.
da L’Unità