Finalmente, verrebbe da dire. Finalmente anche la politica si assume le sue responsabilità e decide di intervenire nella «vicenda Stamina», che da anni ormai versa in un insopportabile stato di confusione.
Stiamo parlando di Luigi Zanda e di Donata Lenzi, entrambi del Partito democratico. Il primo capogruppo al Senato, la seconda capogruppo presso la commissione Affari sociali della Camera, si stanno impegnando per spingere il governo a definire un decreto che impedisca ai magistrati «di disapplicare l’ordinanza dell’Aifa che vieta le infusioni» messe a punto dal gruppo che fa capo a Davide Vannoni.
Finora la partita è stata giocata in buona sostanza tra due sole comunità: la magistratura e quella medico-scientifica. Essendo entrambe divise al loro interno vi sono magistrati che accusano Vannoni e i suoi collaboratori di gravi reati e altri che impongono le infusioni dei loro preparati segreti; vi sono scienziati che hanno limpidamente dimostrato la mancanza di presupposti per considerare quei preparati uno strumento terapeutico e medici che invece li somministrano la confusione è grande e molte le sofferenze, attuali e potenziali, dei malati e delle loro famiglie.
Nella confusione, tre dati sono chiari. Il primo è che la comunità scientifica internazionale considera il «metodo Stamina» del tutto privo delle condizioni minime indispensabili per essere utilizzato, in qualsiasi modo anche come terapia compassionevole nella pratica clinica.
Il secondo dato è che la massima autorità sanitaria in materia, l’Agenzia italiana del farmaco, ha vietato l’uso del metodo proposto da Davide Vannoni. Molti magistrati si sono assunti la responsabilità di ignorare le indicazioni della comunità scientifica e delle autorità sanitarie e hanno, addirittura, ordinato l’infusione di un preparato che non solo non è di provata efficacia, ma è addirittura di composizione segreta.
A questo punto sarebbe dovuta intervenire la politica a mettere la parola fine all’imbarazzante (tutto il mondo ci guarda) situazione. E non lo ha fatto. Certo, non è esatto dire che se ne è tenuta fuori del tutto. Intanto perché il Parlamento ha autorizzato una sperimentazione tanto costosa quanto poco definita. Infatti, anche intorno alla sperimentazione, peraltro non ancora iniziata, regna un discreto caos. Certo, ci sono state prese di posizione, per lo più chiare e condivisibili, del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin. Ma la giovane esponente di centrodestra si è trovata più volte con le mani legate in mancanza di norme inoppugnabili.
Ecco, dunque, dove è mancata la politica. Nel definire, con leggi sintetiche e chiare, valide (è persino ovvio ricordarlo) per tutti come si governa l’innovazione sanitaria in una moderna democrazia. Avremmo dovuto farlo da tempo. Almeno a valle del caso Di Bella. Ma neppure quella vicenda, evidentemente, non ci ha insegnato abbastanza. Avremmo dovuto certamente nel momento in cui è iniziati il caso Vannoni. Ma ancora una volta non siamo stati capaci.
Ben venga, dunque, l’iniziativa di Luigi Zanda e Donata Lenzi. Nella speranza che raggiunga due obiettivi: uno più importante dell’altro. In primo luogo, porre fine all’emergenza Stamina. Riconoscendo che il diritto, la politica e la scienza sono tre dimensioni autonome, che devono stabilire in continuazione i limiti di un delicato equilibrio, senza che mai l’una invada pesantemente il campo dell’altra.
Ma c’è un secondo obiettivo che il Parlamento deve raggiungere. Stabilire, appunto, come si governa l’innovazione medica in una società democratica. Se occorre difendere, in primo luogo, la salute dei cittadini conservando e, semmai, rafforzando le regole che sovrintendono oggi alla introduzione di nuovi farmaci e di nuove tecnologie. O se invece occorre garantire la libertà del mercato, con una pericolosa deregulation, che alcuni teorici del neoliberismo propongono ormai in maniera esplicita, considerando la salute non un diritto universale da tutelare, ma un bene da acquistare. Magari a proprio rischio e pericolo. È questa la posta in gioco del caso Stamina. Ed è per questo che il decreto di cui Luigi Zanda e Donata Lenzi avvertono giustamente la necessità non è e non sarà solo una faccenda italiana. Ma farà rumore e forse scuola nel mondo intero.
da L’Unità