Forse nemmeno lui aveva mai fatto esattamente i conti. Ma Piero Fassino, sindaco di Torino (eletto per il Pd) e presidente dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni, non è sorpreso dalla constatazione che le città paralizzate dai debiti in Italia sono circa 180. «Per molte amministrazioni la situazione finanziaria è estremamente precaria — concede — ma pochi si rendono conto che i Comuni in questi anni hanno affrontato sacrifici maggiori dello Stato centrale o delle Regioni».
Insomma i dissesti sono dovuti ai tagli, non all’eccesso di spesa o alla contabilità creativa dei sindaci?
«Basta guardare alle cifre. Tra il 2008 e il 2013 i comuni hanno avuto una riduzione di risorse per 17 miliardi di euro. Una metà dovuti a minori trasferimenti dello Stato centrale, un’altra metà come contributi al patto di stabilità interno sotto forma di versamenti o di tagli. Mi pare una somma rilevante e questo ha messo in difficoltà tutti i Comuni».
Vuole dire che i Comuni contribuiscono alla riduzione di spesa più degli altri rami dell’amministrazione?
«I dati Istat dimostrano che nel periodo 2008-2013 la spesa pubblica dei Comuni è scesa, mentre la spesa dello Stato è aumentata. Negli anni non tutte le giunte hanno dimostrato la stessa capacità e efficienza di gestione, ma il peso caricato su di noi è stato molto maggiore. Il debito pubblico dei Comuni è il 2,5% del debito pubblico totale e la spesa è il 7,6% della spesa dello Stato. Il problema dei conti pubblici non siamo noi».
Per finanziare il bonus di 80 euro, Matteo Renzi vi ha chiesto 700 milioni di nuovi tagli. Li avete fatti?
«Abbiamo tagliato, certo. Nella nostra amministrazione abbiamo ridotto del 5% tutti i contratti di servizio e la spesa per il personale. La realtà è che si è gravato molto più sui Comuni che sullo Stato centrale. Torino, Milano o Firenze hanno fatto delle spending review durissime; queste città contribuiscono proporzionalmente alla stabilità di bilancio dell’Italia più dei ministeri o delle Regioni. L’aumento dei Comuni in sofferenza è una spia di questa realtà».
I sindaci possono sempre alzare le aliquote sulle tasse locali, prima di dichiarare dissesto…
«La fiscalità locale è salita per un ammontare pari a metà degli tagli subiti, in resto incide sul vivo».
Molte giunte mettono all’attivo multe di 20 anni fa mai riscosse o danno stime fantomatiche sui patrimoni cedibili. Contabilità creativa?
«Questo riguarda il passato. Adesso è stato introdotto un vincolo stringente: siamo obbligati a radiare tutti i crediti — dalle multe alle bollette — più vecchi di cinque anni. Se una giunta copre le spese somme inesigibili, da ora in poi rischiano poi di incidere sui loro fondi di riserva. Non ci sono più margini per far sembrare il bilancio meglio di quello che è, ed è giusto che sia così».
Peraltro ora i cittadini sono incoraggiati a pagare le multe subito, perché hanno lo sconto del 30%…
«E i Comuni incassano di meno! Anche questo è un provvedimento figlio dei governi».
I Comuni in dissesto accusano Roma e Napoli: dicono che hanno avuto un trattamento di favore, malgrado i buchi di bilancio, mentre le città più piccole fanno sacrifici. È così?
«Non si possono far fallire città come Roma o Napoli, credo che su questo tutti concordino. È giustificato che ci siano trattamenti ad hoc, con prestiti del governo e misure per evitare di forzarle a dichiarare dissesto. È comprensibile, ma a una condizione: devono esserci anche dei vincoli finanziari che garantiscano che tra uno o due anni Roma o Napoli non si trovino di nuovo nella situazione di prima, obbligate a chiedere un altro aiuto straordinario».
Invece è esattamente ciò che è successo negli ultimi anni, non trova?
«Per questo dico che è stato giusto aiutare il Comune di Roma, ma dobbiamo anche dotarci di criteri di bilancio rigorosi. Vogliamo essere certi che ciò che è accaduto in questi anni non si ripeta in futuro. Sarebbe difficile spiegare un altro salvataggio della capitale agli abitanti di città di provincia che pagano le aliquote comunali più alte».
da La Repubblica