La normativa italiana sulle supplenze viola la normativa comunitaria. La violazione consiste nella facoltà, concessa dalla legge 124/99 all’amministrazione scolastica, di reiterare i contratti a tempo determinato. Senza limite. E senza che il legislatore interno abbia previsto alcuna sanzione in caso di abuso.
Questa, in sintesi, la posizione espressa dall’avvocato generale presso la Corte di giustizia europea, Maciej Szpunar, nelle conclusioni presentate il 17 luglio scorso in un giudizio promosso dalla Corte costituzionale e dal Tribunale di Napoli davanti ai giudici comunitari.
È giunto alle battute finali, dunque, il braccio di ferro che si sta disputando ormai da anni tra precari della scuola e amministrazione scolastica. E che sembrava essersi definitivamente risolto in favore del ministero, dopo la sentenza 10127/2012 del Corte di cassazione. Sentenza con la quale i giudici di legittimità avevano giustificato l’operato del ministero dell’istruzione. Che attraverso la reiterazione dei contratti non avrebbe abusato del ricorso alle supplenze, ma avrebbe delineato un vero e proprio criterio di reclutamento, finalizzato all’immissione in ruolo a seguito dell’accumulo del punteggio di servizio. Di qui la legittimità della normativa sul reclutamento che, peraltro, in quanto normativa speciale, per sua natura, risulterebbe indenne dalle limitazioni contenute nel decreto legislativo 368/2001, che recepisce la normativa europea sui contratti a termine, e nel decreto legislativo 165/2001, che, prevede sanzioni a carico della PA in caso di abuso del ricorso dei contratti a termine, ma non troverebbe applicazione nella scuola.
Dopo questa sentenza, la partita è stata riaperta a seguito di una questione di legittimità costituzionale sollevata da un Tribunale, incentrata sulla compatibilità tra la normativa interna (la legge 124/99) e l’ordinamento comunitario. Incompatibilità che, se accertata, determinerebbe una sorta di effetto collaterale. E cioè, l’incostituzionalità della legge 124/99 per contrasto con l’articolo 117 della Costituzione. Che ingloba l’ordinamento comunitario all’interno della Costituzione per effetto di una sorta di osmosi. I giuristi, a questo proposito, parlano di norma interposta. Un po’ come dire che l’ordinamento comunitario si inserisce a pettine nella Costituzione italiana.
E quindi, se una norma interna viola la normativa comunitaria, già solo per questo è da considerarsi incostituzionale. Prima di pronunciarsi, però, la Corte costituzionale ha chiesto lumi alla Corte di giustizia europea, che è il giudice preposto a dirimere questo genere di controversie. E adesso i nodi stanno venendo al pettine. L’avvocato generale, infatti, è una specie di pubblico ministero. E siccome si è pronunciato a favore della tesi dei ricorrenti, ciò depone a favore di una pronuncia in tal senso da parte della Corte di giustizia.
Va detto subito che il responso di Bruxelles non è vincolato dalla posizione dell’avvocato generale. Ma si tratta comunque di una posizione autorevole che la Corte terrà nel debito conto. Qualora i giudici comunitari dovessero bacchettare l’Italia, censurando la legge 124/99, la palla ritornerebbe alla Corte costituzionale. Che dovrebbe pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di questa norma.
Il giudizio, quindi, potrebbe concludersi o con una sentenza di espunzione. Vale dire, con una sentenza con la quale la Consulta farebbe tabula rasa del sistema di reclutamento dei supplenti.
Oppure, come è probabile, con una sentenza additiva, per effetto della quale il legislatore italiano dovrebbe introdurre un sistema di sanzioni a carico dell’amministrazione scolastica in caso di abuso di reiterazione dei contratti a termine. Ad esito della sentenza della Consulta, l’ultima parola sull’esito del giudizio principale spetterebbe al giudice rimettente. E cioè al giudice di merito dal quale proviene la domanda originaria. E tutto ciò non mancherebbe di avere effetti anche sul contenzioso seriale già in atto.
da ItaliaOggi 22.07.14