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"Il contagio", di Gad Lerner

Arabo contro ebreo. Non c’è scudo protettivo che impedisca la deflagrazione della guerra di Gaza ben oltre il teatro delle operazioni militari, fino a riversare nelle metropoli cosmopolite della sponda nord del Mediterraneo la logica feroce delle appartenenze etniche e religiose.
Il governo francese ha vietato le manifestazioni filopalestinesi nella regione parigina, senza riuscire a evitare che domenica a Sarcelles manipoli di violenti si avvicinassero nuovamente alla sinagoga già circondata il 13 luglio scorso, mentre vi si svolgeva una funzione. Una drogheria kasher è stata incendiata. Il giorno prima in un quartiere della capitale altre centinaia di giovani si sono scontrati con la polizia. Fra i diciannove arrestati, quattro sono minorenni. Ieri a Lione una mano sconosciuta ha scritto “Israele assassino” sul muro della sinagoga. Per la verità era già accaduto pure in Italia, sul tempio ebraico di Vercelli.
Giustamente il primo ministro Manuel Valls denuncia le “intollerabili manifestazioni di antisemitismo”, anche se la politica francese si divide sull’opportunità di sospendere il diritto costituzionale di manifestare in piazza. Pesa il ricordo di Ilan Salimi, il giovane ebreo sequestrato, torturato e ucciso nel 2006 da suoi coetanei arabi della banlieue. E poi le stragi nella scuola ebraica di Tolosa e nel museo ebraico di Bruxelles, perpetrate da militanti jihadisti. È umiliante constatare che luoghi di culto, di educazione e di cultura europei siano divenuti bersagli di un odio che pretende di giustificarsi con le vittime civili e con gli ospedali colpiti dall’esercito israeliano a Gaza. L’abbrutimento delle coscienze infrange perfino i codici usuali della vendetta; calpestare la fede altrui diviene tecnica di deterrenza.
È bene sottolineare che tale incivile pratica terroristica si è manifestata a senso unico: mai in Europa si è verificata una minaccia diretta a una moschea o a una scuola islamica rivendicata da mano ebraica. Ma per la prima volta il contagio della guerra fra popoli, degenerata in Medio Oriente sotto forma di odio generalizzato, sprigiona pericolose scintille fra comunità europee; abituate finora a convivere nel reciproco rispetto dentro la cornice della democrazia pluralista delle nostre città.
Troppe volte è già bastato il passaggio di una kippah o di una kefiah per scatenare la caccia all’uomo. Manifestazioni politiche (come quelle del 25 aprile scorso) sono state pretesto di accese contrapposizioni, dando luogo a prove di forza e a esibizioni squadristiche. In una triste parodia della guerra in corso a migliaia di chilometri di distanza, le parti esaltano le opposte virtù militari e, neanche troppo sottovoce, pretendono un’estensione illegale del diritto all’autodifesa che, sempre più spesso, degenera in offesa.
In Francia, di fronte all’ondata antisemita di matrice islamista che ha reclutato miliziani fra i giovanissimi delle banlieue, ora è sorta una Ligue de Défense Juive (Lega di Difesa Ebraica), condannata dagli organismi comunitari, ma attiva nei disordini di questi giorni. Sul suo sito internet questa Ldj si presenta con una fotografia di energumeni mascherati come ultràs da stadio, e lancia proclami bellicosi: “Di fronte alla feccia islamista i difensori ebrei della sinagoga di Sarcelles cantano la Marsigliese”. E ancora: “La sinagoga protetta da 200 eroi della Comunità ebraica”.
Si tratta di una minoranza votata alla provocazione, ma esprime uno stato d’animo più esteso: abbiamo un nemico anche qui in terra europea e anche qui lo combatteremo. Quasi che Tsahal e i servizi di sicurezza israeliani dovessero trovare la loro propaggine di combattimento in una guerra che ha sconfinato. Una guerra asimmetrica che renderebbe necessaria una deroga al monopolio statale dell’ordine pubblico, perché si estende ovunque capiti di dover convivere.
Mi auguro che i responsabili delle Comunità ebraiche italiane stronchino sul nascere questa degenerazione militarista, fomentata anche fra noi da poche teste calde, irresponsabili cultori di arti marziali, non sempre giovani. Sono gli stessi che in mancanza di meglio se la prendono col “nemico interno” e additano come traditori gli ebrei in dissenso con le scelte del governo israeliano. Ora cominciano a essere tenuti d’occhio discretamente dalle nostre forze di polizia, come se non ne avessero abbastanza di dover vigilare contro i jihadisti e gli antisemiti violenti travestiti da antisionisti.
La sensazione è che la guerra di Gaza non sia solo tragicamente inutile ai fini della sicurezza degli israeliani e della dignità dei palestinesi, ma che sia diventata anche contagiosa. La nozione di nemico si è estesa a tal punto da divenire extraterritoriale, alimentata da un fanatismo che di nuovo universalizza la colpa di essere ebrei. Oppure il destino di essere palestinesi, arabi, musulmani. Rintracciare il nemico in ogni arabo e in ogni ebreo, spaventarlo ovunque si trovi, è l’ultima arma impropria di una guerra senza sbocchi.
Preziosa sarebbe un’iniziativa congiunta delle autorità religiose che finora sono rimaste schiacciate dall’istinto di appartenenza. In Francia come in Italia servirebbero rabbini invitati il venerdì nelle moschee, e imam invitati il sabato nelle sinagoghe a ripristinare il senso del sacro calpestato nella guerra di tutti contro tutti. Ma chi ce l’ha questo coraggio? Chi farà la prima mossa?

La Repubblica 22.07.14

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