Nel 2010 solo otto municipi avevano i bilanci in dissesto. E sale la protesta per le agevolazioni concesse a Roma e Napoli
Renato Natale, sindaco di Casal di Principe da un mese, sa che la sua è una città unica in Europa a causa dei camorristi. Ma da quando è entrato in ufficio ha subito trovato qualcosa che lo accomuna a centinaia di primi cittadini in ogni parte d’Italia. Ha il bilancio in dissesto. Gli enti in crisi, circa 180, sono ormai una nuova categoria sociale del Paese: hanno persino le proprie proteste e rivendicazioni, perché si sentono trattati peggio dei grandi debitori seriali come le amministrazioni di Roma o di Napoli.
In gioco non c’è solo la contabilità, perché a Casal di Principe il dissesto è un problema pratico. Debiti per 16 milioni in una città di 20 mila abitanti costringono l’amministrazione a comportarsi come un’impresa in procedura fallimentare. Deve tagliare le spese all’osso, alzare le entrate e vendere i beni in fretta per liquidare i creditori a una frazione del valore teorico dei debiti. Ma un’impresa fallita di solito smette di esistere, mentre un Comune deve continuare a garantire la sicurezza nelle strade, il servizio idrico o gli aiuti alle famiglie in difficoltà.
Non è facile, quando i bilanci sono già stati portati al ministero dell’Interno come si fa con i libri d’impresa in tribunale. A Casal di Principe 700 domande di assegni familiari restano in un cassetto perché in Comune non ci sono più assistenti sociali in grado di leggerle, e il sindaco non può assumerne altri. A oltre metà della popolazione non arriva l’acqua corrente e nessuna scuola ottiene il certificato di agibilità sanitaria, ma mancano i soldi e gli uomini per fare le bonifiche. Presto il solo geometra comunale andrà in pensione e i vigili urbani sono sei, di cui due spesso in malattia. Nel frattempo, un commissario del ministero dell’Interno paga i creditori e aiuta a fare chiarezza in un bilancio in cui figuravano come poste all’attivo delle bollette dell’acqua neppure mai emesse.
Casal di Principe è un punto estremo, non un’aberrazione dell’Italia all’ottavo anno dall’inizio della crisi. Nel 2009 i Comuni ufficialmente in dissesto erano due, l’anno dopo erano otto, a metà di quest’anno erano saliti a 63. Fra questi si contano casi di parziali, pilotati e concordati default verso i creditori per molte centinaia di milioni di euro. Al suo arrivo come primo cittadino di Alessandria, 93 mila abitanti, Maria Rita Rossa (Pd) ha trovato debiti per 200 milioni di euro su un bilancio di 90: la Corte dei Conti l’ha costretta a dichiarare il dissesto. Anche a Caserta, 77 mila abitanti, il sindaco di destra Pio Del Gaudio ha trovato 200 milioni di debiti e un deficit annuale di altri 24. Questi e altri Comuni come Terracina, Latina, Velletri e decine di altri stanno liquidando i fornitori con somme fra il 40% e il 60% di quanto scritto nelle fatture.
C’è poi una seconda categoria di enti costretti a rivedere le loro promesse ai creditori. Sono quelli in “pre-dissesto”, soggetti a quello che la legge chiama un piano di riequilibrio. Quando è così la ristrutturazione è meno dura, spesso limitata a un lungo rinvio delle scadenze di pagamento e alla cancellazione degli interessi di mora. In questa categoria rientrano circa 120 città, a volte con miliardi di debiti e milioni di elettori: fra queste Napoli, Catania, Messina, Reggio Calabria, Frosinone.
Non che fare default sui creditori degli enti locali sia sempre un’ingiustizia: i dati del Tesoro mostrano che le forniture di beni e servizi in molti casi si sono fatte a prezzi più che doppi rispetto alla norma. Ma Maria Rita Rossa di Alessandria, che da sindaco di capoluogo in dissesto guadagna meno di quando insegnava Italiano e Latino alle superiori, pensa che la crisi non sua uguale per tutti. «È una questione di equità fra cittadini di città diverse – accusa – non possiamo fare due pesi e due misure fra chi abita a Roma o a Napoli e chi sta ad Alessandria». I debiti del comune di Roma sono stati spostati in quella che Rossa chiama «una bad company» e Roma Capitale è potuta ripartire senza dissesto. Nel frattempo Alessandria, Caserta, Casal di Principe e decine di altri enti più piccoli sono stati costretti ad alzare le tariffe e le tasse comunali al massimo, consolidare i debiti delle società partecipate, mettere in cassa integrazione molti dipendenti, bloccare gli investimenti. Nuovi prestiti della Cassa depositi e prestiti vengono concessi solo a breve termine e per liquidare
i creditori privati, mai per chiudere le buche nell’asfalto. Non è un dettaglio da poco: fare causa ai Comuni per la condizione delle strade in caso d’incidente ormai è così diffuso fra gli italiani che certi enti sono finiti in dissesto per i danni e altri usano le riprese da satellite per difendersi dai tentativi di truffa dei cittadini.
Intanto a Napoli e soprattutto a Roma, grandi fonti di debiti e di voti, non vengono richiesti pari sacrifici. Il piano per Roma non prevede gli stessi interventi drastici sulle partecipate del Comune, come l’Ama o l’Acea. Di qui la rivolta degli enti in dissesto conclamato. Del Gaudio a Caserta nota che il ministero dell’Interno gli impone di alzare tutte le tasse, ma è moroso di un anno sul pagamento dell’affitto per i palazzi della Questura e della Prefettura. Rossa da Alessandria vorrebbe allontanare i dirigenti che hanno creato il buco di bilancio, usando il nuovo decreto sulla mobilità dei funzionari, ma non lo fa perché non potrebbe sostituirli. «Vorrei che i miei cittadini avessero le stesse opportunità degli altri», osserva.
A Casal di Principe Renato Natale questa settimana spera di riaprire il campo sportivo. Per le pulizie delle strade, per adesso, conta su qualche volontario che si presenti.
da La Repubblica