Nessuno osa affermare esplicitamente che non occorre affrontare il tema di una presenza forte della Educazione civica nel sistema scolastico. Chi lo affronta connette quasi sempre tale esigenza all’individuazione di una specifica “materia” alla quale l’Educazione civica deve connettersi; la materia individuata nelle diverse proposte è però una sempre diversa, e nulla accade in concreto anche (certo, non solo) proprio per questo.
Vi sono ottimi motivi per i collegamenti con la filosofia e con la storia (interventi di Armando Massarenti e di Roberto Balzani). Ma altri collegamenti, come poco oltre cercherò di argomentare, sono altrettanto validi, sicché credo che l’approccio debba investire alcune questioni preliminari.
Questione prima, e fondamentale: nel parlare delle competenze da fornire, dobbiamo riferirci solo ai ragazzi, o prima ancora agli insegnanti? Ho avuto occasione, quando era in attività la Scuola di Specializzazione Ssis per la loro formazione, di verificare le loro informazioni sulla Costituzione, cioè sul quadro istituzionale entro cui la scuola italiana opera; si trattava di laureati intenzionati a divenire insegnanti, ma l’indagine compiuta mostrava impressionanti carenze sugli aspetti più elementari della nostra convivenza civile.
Aspetti che dovrebbero essere nel bagaglio culturale dei docenti di tutte le discipline: non perché tutti debbano insegnare educazione civica, ma perché tutti dovrebbero essere educatori in senso generale. L’ambiente scolastico, inoltre, è la prima “società” che, dopo la famiglia, i giovani incontrano; l’educazione civica resta sulla carta se la scuola non è essa stessa un esempio di organizzazione civicamente corretta, e la scuola può esserlo solo se gli insegnanti verranno preparati a gestirla con tali caratteristiche.
Seconda questione, le esigenze di interdisciplinarità. Beninteso, affidare a un ben individuato docente il compito dell’insegnamento di Educazione civica è indispensabile: la generica affermazione che esso rientra nei doveri di tutti i docenti è stata spesso, in passato, la copertura per non definire, per almeno uno di essi, questo dovere specifico. Va però superata, con la massima decisione, la tradizionale tendenza a considerare il docente come una monade, che progetta e attua il suo insegnamento senza interazioni con i colleghi: ogni materia ha un suo statuto disciplinare, ma chi la insegna deve avere la massima attenzione a tutte le connessioni interdisciplinari, se non altro perché il ragazzo che abbiamo di fronte ha un unico cervello, ed è assurdo pretendere (come, in concreto, si fa abitualmente) che faccia lui, a valle, le connessioni che – a monte – non siamo stati capaci (o desiderosi) di fare noi.
Questa esigenza, del tutto generale, di collaborazione interdisciplinare consente anche di sdrammatizzare, nel caso particolare della Educazione civica, la vertenza sulla collocazione di essa. Al proposito, se sono validi gli argomenti che fanno riferimento alla filosofia e alla storia, almeno altrettanto vale il legame con il diritto: non per avallare la “giuridificazione” che giustamente Balzani deplora, ma perché ogni ragionamento sui diritti e sui doveri non ha solo una componente astratta, ma si colloca poi in un preciso quadro istituzionale. Preparare i giovani nell’ambito del diritto è comunque doveroso, anche in termini più complessivi rispetto alla sola Educazione civica; da tempo viene infatti sottolineata la necessità di fornire a tutti i cittadini alcune basi in tale area, come in quella dell’economia.
Il dibattito sull’Educazione civica può essere perciò una occasione per rilanciare tale necessità. In ogni caso, quale che sia il docente “titolare” dell’insegnamento dell’Educazione civica, va affermato che i relativi contenuti devono risultare dall’intesa tra una pluralità di docenti, che consenta l’inserimento in esso di una pluralità di punti di attenzione.
L’idea stessa di “insegnamento” va inoltre rivisitata. Una didattica interattiva (anziché unidirezionale, ex cathedra) è ormai richiesta per tutte le materie, anche perché le massime carenze di chi esce dalle nostre scuole – così come dalle università – riguardano non le conoscenze disciplinari, bensì le competenze “trasversali” (capacità di lavorare in gruppo, di comunicare, di affrontare il “problem solving”); l’Educazione civica, che deve essere praticata nella vita delle classi oltre che predicata, costituisce il naturale terreno per sperimentare l’interattività.
da Il SOle 24 Ore