economia, lavoro, politica italiana

"Non è più rinviabile una politica industriale", di Patrizio Bianchi

La revizione al ribasso delle stime di crescita, cadute ormai ad un gracile 0,2 per cento e la
crescente evidenza della continua emorragia di posti di lavoro, di cui l’XI Rapporto della Cisl su industria, mercato del lavoro, contrattazione rende drammatico conto, richiamano il governo alla urgenza di interventi di politica industriale, oggi tanto più necessari quanto più conclamati nei giorni passati. Il dato medio nazionale diviene sempre meno significativo, perché nasconde le differenze che stanno accrescendosi sempre più fra regione e regione e le distanze che si stanno accumulando fra chi cresce e chi continua ad affondare nella crisi.
Il rapporto Cisl mette in evidenza come ad una caduta modesta delle aree forti del Nord corrisponde lo sprofondamento del Sud, con una desertificazione del sistema produttivo, che vede una riduzione della capacità produttiva nazionale del 15 per cento dall’inizio della crisi, ma quasi tutta concentrata nel Mezzogiorno. Le imprese che al Nord crescono , non solo esportano, ma sono sempre più parte di un sistema integrato di produzione che ha il suo cuore nella Germania, tra Francoforte, Stoccarda e Monaco. Il primo obiettivo di politica industriale deve essere quindi il rafforzamento della manifattura nella sua spinta di integrazione europea, sostenendo la meccanica avanzata, la componentistica, la rinata chimica e farmaceutica italiana, e per altro verso l’alimentare e il settore moda di grande qualità, come perni di un’azione volta a sostenere le esportazioni e quindi la reindustrializzazione del Sistema Italia. Occorre quindi riconoscere la centralità della manifattura e dotarsi di una strategia in grado di far si che il numero delle imprese in grado di giocare sul piano internazionale con successo – oggi stimato da Banca d’Italia intorno alle 4500 imprese – aumenti significativamente, diciamo di almeno altre 1500 imprese nei prossimi due anni.
La rinascita della manifattura – che è del resto il tema del Consiglio dei ministri europei che si terrà domani a Milano – è il cuore di quel Industrial compact, che la Commissione Barroso lascia a Junker come base del rilancio europeo. In quel piano stanno non solo le risorse, e sono tante, ma soprattutto la base normativa per un intervento a favore dell’industria europea, che sfugga al rischio di infrazione per aiuti di stato, permettendo di coordinare verso il comune indirizzo di rilancio industriale anche i fondi strutturali attribuiti ai singoli stati. In questo insieme di azioni, che appunto si chiama Industrial Compact, stanno infatti tutti quegli interventi (dalla riduzione del costo della energia e delle materie prime, alla spinta alla internazionalizzazione, dalla certificazione e protezione della qualità dei prodotti, all’accesso al credito) che devono permettere il rilancio dell’industria italiana.
L’avvio dell’Industrial Compact deve esser il cuore della Presidenza italiana. Quindi, l’Italia a Bruxelles, in questo delicato semestre, punti ad una attuazione rapida del Piano di rilancio dell’industria europea, e questo sarà tutto a vantaggio della nostra industria che, crescendo, trascinerà anche il resto del paese. È necessario però che il governo dia anche segnali chiari della direzione di marcia verso questo obiettivo, come Obama fece nella fase più dura della crisi interna e come tutti i principali leader europei hanno dato nei mesi passati. Qui si pongono due temi per noi specifici. Innanzitutto il credito.
Draghi continua a mettere a disposizione del sistema bancario una liquidità che però non arriva alle imprese, essenzialmente perché viene usata per ricapitalizzare continuamente le stesse banche. Dopo venti anni deve essere affrontata una riflessione sull’effettivo esito di un processo di concentrazione bancaria che ci ha portato ad avere solo un paio di grandi banche, sempre in ristrutturazione, e lo sradicamento pressoché totale di quel fitto reticolo di banche minori e casse di risparmio e mutualità , che costituivano parte rilevante di un tessuto economico locale, che per definizione si rivolgeva al sostegno della piccola impresa, dell’artigianato e del commercio minuto, e che rappresentava comunque un ammortizzatore nei momenti di crisi ed un impegno per la crescita di nuova impresa. Un’azione rivolta non solo a garantire credito alle imprese minori ma a ricostruire un associazionismo locale volto a sostenere risparmi ed investimenti di comunità, certamente aperte, ma anche radicate, diviene essenziale per la ripresa.
Un altro punto di riflessione ci viene dalla vendita di una importante impresa famigliare, la Indesit dei Merloni. Questo fatto ci richiama alla necessità di trovare strumenti per permettere la vita autonoma di imprese famigliari al di là dei loro fondatori. Occorre favorire la creazione di modelli proprietari in cui la famiglia mantenga la proprietà indivisa della azienda, senza frazionamenti tra eredi, ne affidi la gestione a manager, e quindi si rivolga al mercato per finanziare anche con ampliamenti azionari e possibili fusioni la propria scala di azione.
Il semestre europeo coincide anche con l’avvio della nuova commissione, che si gioca non poco sul rilancio industriale. La politica industriale è sempre più sia materia europea e contemporaneamente materia legata al territorio. Il governo, così attento alle riforme, dimostri in questo terreno arduo ma imprescindibile la sua capacità di fare politica, tenendo assieme i due piani, ridando orizzonte alla nostra industria.

da L’Unità