L’avvio del ciclo istituzionale 2014-2019 della Ue è segnato da eventi di notevole portata. Si tratta dell’elezione del Presidente della Commissione Europea da parte del Parlamento Europeo in seguito ad un percorso di metodo e di merito ineccepibile che è anche una lezione per gli euroscettici e gli eurotecnocrati. Per i primi non c’è democrazia mentre per i secondi ce n’è quanto basta laddove gli eurorazionali possono rallegrarsi anche esaminando il programma del neo-eletto Jean-Claude Juncker (JCJ).
Il metodo e il merito. Il metodo è stato ineccepibile perché JCJ era il candidato presidente scelto dal Ppe, poi confermato ad elezioni vinte e designato dal Consiglio Europeo, infine valutato in incontri dai partiti e dai gruppi del Parlamento europeo che lo ha poi conclusivamente eletto a scrutinio segreto.
Nel merito fondamentale è il “programma per l’occupazione, la crescita, l’equità e il cambiamento democratico” presentato da JCJ al parlamento europeo. Sbaglia chi pensa che si tratti di troppe ambizioni con scarsa possibilità di realizzazione presentate per accontentare un po’ tutti. A noi pare invece che, considerata anche la esperienza di JCJ sulle questioni europee, il programma sia solido sia sui principi che sulle priorità economiche e politiche espresse in 10 “settori strategici” di intervento. Riflettiamo, con interpretazione personale, su quelli che per noi sono di maggiore interesse.
La sussidiarietà. È il principio su cui JCJ vuole rilanciare l’Europa Unita. La sussidiarietà (verticale) e la proporzionalità affidano ad ogni livello di governo (europeo, nazionale, regionale o locale) le competenze adatte per migliorare la combinazione tra legittimità ed efficienza. JCJ afferma di volere una Ue più “grande ed ambiziosa” ma non più regolamentata ed intrusiva in questioni che possono essere risolte meglio a livelli di governo infraeuropei. Anche sulla sussidiarietà (orizzontale) JCJ è chiaro affermando che sono soprattutto le imprese a creare occupazione ma che i fondi pubblici della Ue possono e devono essere usati meglio per spingere gli investimenti nell’economia reale e per una proficua sinergia tra pubblico e privato. Sui temi dell’equità la sua intonazione è quella di un sostenitore dell’economia sociale di mercato che ritiene necessarie le riforme strutturali capaci di generare crescita e occupazione nel medio termine senza però trascurare i contraccolpi sociali.
L’economia reale. È il tema più forte del programma di JCJ al quale sono dedicati i suoi primi 5 settori strategici dove enfasi e silenzi dicono molto su quali JCJ consideri sue competenze e le sue priorità. Le politiche per l’economia reale e per il loro finanziamento sia a livello comunitario che a livello nazionale sono il fulcro per il rilancio della crescita e dell’occupazione. Si tratta degli investimenti in sistemi di infrastrutture integrate (digitale e banda larga, energie, trasporti, tecnoscienza) con un potenziamento dei finanziamenti sia con un uso più efficiente ed efficace del bilancio comunitario sia tramite la Bei e il partenariato pubblico-privato, sia con nuovi strumenti finanziari per le imprese. JCJ si impegna a presentare entro tre mesi un programma che mobiliti 300 miliardi di investimenti in tre anni. Si creerebbero così dei mercati integrati infrastrutturalmente e una maggiore competitività specie per l’industria che per JCJ deve puntare al 20% del Pil della Ue. Per fa si che di questa strategia di crescita reale beneficino anche le Pmi, che danno l’85% degli occupati nella Ue, JCJ si impegna anche ad una semplificazione radicale delle norme europee auspicando una ricaduta su quelle nazionali.
Bei e Bce. Importante è l’enfasi di JCJ sulla Bei (Banca europea per gli investimenti) sia per la preparazione di progetti in collaborazione con la Commissione sia per il finanziamento di progetti sia per il partenariato pubblico-privato.
Ricordiamo che l’aumento di capitale della Bei di 10 miliardi eseguito agli inizi del 2013 ha già consentito di aumentare la sua capacità di prestiti di 60 miliardi nel triennio 2013-15 liberando così fino a 180 miliardi di euro in investimenti addizionali all’economia reale (dalle infrastrutture alle Pmi). Si è anche accentuata la sinergia tra Bei, Fei (fondo europeo per gli investimenti) e Casse Depositi e prestiti nazionali per valorizzare il ruolo capitale di rischio e per rilanciare le cartolarizzazioni. La nostra Cdp già collabora con la Bei e con le omologhe Casse di Germania, Francia e Spagna. Questa è una delle sue missioni primarie da potenziare.
Interessante è notare che JCJ nulla dice sul ruolo della politica monetaria e sulla Bce. A nostro avviso questo silenzio significa non solo rispetto per l’autonomia della Bce stessa ma anche convinzione implicita che stante la crisi prima e la deflazione (con un tasso ufficiale Bce allo 0,15%) senza un’azione diretta di stimolo agli investimenti, la crescita e l’occupazione non riprenderanno anche se questo non toglie meriti a Draghi
L’Eurozona rafforzata. Ciò non significa che JCJ sottovaluti il ruolo dell’euro proponendo infatti una riqualificazione e un rafforzamento dell’Eurozona. Pur confermando la necessità di rispettare il patto di stabilità e di crescita JCJ sottolinea che le sue flessibilità vanno usate, che andranno riesaminati il “six e il two pack”, che altre riforme strutturali potranno essere sostenute da incentivi finanziari, che andranno riequilibrate sul piano sociale e di equità le politiche di stabilizzazione stile “troika”. Infine si prefigura una capacità di bilancio autonoma della Uem e anche di una rappresentanza esterna.
JCJ prende come traccia il programma dei “quattro presidenti” unito ad una scelta politica netta. E cioè che nei prossimi 5 anni non ci saranno allargamenti ad altri Paesi in quanto vanno digeriti i 13 fatti negli ultimo 10 anni.
Una conclusione italiana. JCJ, che tratta anche di altri temi (importante per l’Italia è la presa di posizione sul carattere europeo del problema migrazioni) ed è chiaro nella valorizzazione del metodo comunitario espresso dalla Commissione e dal Parlamento. JCJ tratta poco del Consiglio Europeo sapendo che qui i Capi di stato o di governo non rinunceranno a far valere gli interessi nazionali sia pure nella propria ottica comunitaria. Si capisce perciò che il Presidente Renzi voglia tenere per sé, come fanno i suoi pari, questo ruolo apicale che riassorbe di norma anche quello per la politica estera. L’Italia e l’Eurozona devono però ricominciare a crescere e per questo noi abbiamo bisogno di un Commissario all’economia reale che sostenga con forza il programma di JCJ. Una personalità come Marco Buti sarebbe qui utilissima anche perché avrebbe la capacità di interloquire con il Commissario, che conta molto, agli affari economici e monetari.
da Il Sole 24 Ore