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"Sentenza a futura memoria", di Carlo Federico Grosso

La sentenza della Corte di Appello di Milano che, ribaltando di 360 gradi la sentenza di primo grado, ha assolto ieri Berlusconi con formula piena non può non sconcertare la gente comune. Sconcerta per il fatto in sé, in quanto difficilmente la gente può concepire che due collegi giudicanti possano valutare gli atti di uno stesso processo in modo così antitetico; sconcerta, soprattutto, stante la personalità del soggetto interessato, che dato il suo passato e il suo presente politico avrebbe avuto diritto, sempre, prima come dopo, alla massima prudenza da parte degli organi di giustizia.

In realtà, noi esperti di vicende giudiziarie, sappiano che ribaltamenti delle decisioni possono accadere, e si sono verificati numerose volte. La stessa circostanza che la legge preveda la possibilità di appellare una sentenza di primo grado, e, ulteriormente, di ricorrere in cassazione contro quella di secondo grado, presuppone, logicamente, l’eventualità del ripensamento. E proprio perché, in astratto, è sicuramente bene che più giudici diversi siano chiamati a valutare le situazioni delicate che, frequentemente, caratterizzano i processi penali, io ho sempre paventato che l’esigenza di ridurre i tempi dei processi potesse indurre qualche sprovveduto a suggerire di abbreviarli tagliando sul terreno delle impugnazioni. Perderemmo, in questo modo, una fetta importante di garanzia.

Ma veniamo al processo Berlusconi. In primo grado egli era stato condannato per concussione perché avrebbe «costretto» un funzionario di polizia a consegnare Ruby ad una persona alla quale essa, minorenne, non avrebbe potuto essere consegnata, e per prostituzione minorile perché avrebbe avuto consapevolmente rapporti sessuali con una minorenne. La Corte di Appello ieri ha assolto l’imputato dalla prima imputazione «perché il fatto non sussiste», dalla seconda imputazione «perché il fatto non costituisce reato». Non conosciamo, al momento, le motivazioni della decisione. Dalle formule assolutorie rispettivamente usate dalla Corte possiamo tuttavia intuire quale può essere stato il ragionamento che ha condotto alla decisione.

Si assolve «per insussistenza del fatto» – lo lascia intendere lo stesso significato linguistico delle parole – quando si ritiene che il reato contestato non esista, che, in altre parole, i fatti che si addebitano non concretino una condotta penalmente rilevante. Si assolve «perché il fatto non costituisce reato» quando si ritiene invece che il «fatto» sia stato commesso, ma che l’imputato non sia punibile per altra causa, ad esempio perché ha agito in buonafede (senza dolo), o perché era presente una causa di non punibilità (ha ucciso per difendersi). Le due formule, rispettivamente usate dalla Corte di Appello con riferimento ai due capi d’imputazione a carico di Berlusconi, possono pertanto fornirci qualche idea su ciò che è stato deciso in camera di consiglio.

La concussione «non sussiste», è stato decretato. Ciò significa che secondo i giudici l’intervento di Berlusconi, nella famosa serata nella quale egli si è messo in contatto con la Questura di Milano, inviando la fida Minetti a recuperare la ragazza trattenuta in un ufficio di polizia, non ha avuto alcuna valenza «costrittiva» (violenza o minaccia), come esige invece l’art. 317 c.p. che prevede il delitto di concussione (riconosciuto esistente dal giudice di primo grado).

La Corte, esclusa la «costrizione», avrebbe potuto comunque riconoscere l’esistenza di una «induzione indebita» rilevante ai sensi del nuovo art. 319 quater c.p. (si tratta del reato previsto dalla c,d, riforma Severino, nel quale è stata fatta confluire l’originaria concussione per induzione, che con riferimento alla posizione dell’induttore – salva la pena minore – è assolutamente identico alla fattispecie originaria di concussione per induzione, e risultava pertanto, in astratto, sicuramente applicabile nel caso di specie). Si vede che la Corte, escluso che nel comportamento di Berlusconi fossero rinvenibili profili di minaccia, ha escluso altresì che vi si potessero rinvenire profili di semplice induzione di soggetti pubblici a compiere alcunché d’illecito.

Diverso è il caso della prostituzione minorile. La formula assolutoria impiegata sembra lasciare arguire – vedremo, leggendo le motivazioni, se sarà davvero questo il ragionamento seguito – che la Corte di Appello abbia ritenuto che il «fatto», cioè la relazione dell’imputato con la giovane ragazza, vi sia stato. Che tale relazione non costituisca tuttavia reato (verosimilmente) perché mancava il dolo, cioè la percezione della minore età della sua partner da parte dell’attore maschile.

Il processo, d’altro canto, non è comunque ancora definitivamente risolto a favore di Berlusconi, perché la Procura Generale di Milano, che aveva chiesto la conferma della durissima condanna di primo grado, ed è uscita pesantemente sconfitta dal processo di appello, potrà pur sempre ricorrere in cassazione, aprendo in questo modo un’ulteriore, altrettanto drammatica, fase giudiziaria a carico dell’ex Presidente del Consiglio.

La sentenza appena pronunciata innesca d’altronde, su altri fronti, una serie di ulteriori interrogativi giudiziari. Che cosa accadrà, ad esempio, del processo Ruby bis, che, pure, si era concluso con pesanti condanne degli imputati da parte del giudice di primo grado? Che cosa accadrà dell’indagine aperta a seguito della trasmissione, da parte del Tribunale di Milano alla locale Procura della Repubblica, di atti dai quali, a suo giudizio, emergerebbero episodi di falsa testimonianza di testi ascoltati in udienza e d’impulso a rendere falsa testimonianza addirittura da parte di alcuni legali?

In teoria, l’assoluzione pronunciata ieri potrebbe essere ininfluente nei confronti di tali diversi processi, essendo essi affidati alle prove emergenti, o non emergenti, dai loro rispettivi atti (ad esempio, se dovesse risultare confermato il «fatto», sia pure non punibile, di prostituzione minorile, le asserite false testimonianze relative a ciò che sarebbe accaduto, o non accaduto, nel corso delle «serate eleganti» di Arcore non risulterebbero, certo, automaticamente cancellate).

L’impressione, tuttavia, è che al di là di questo o di quel particolare, dopo la sentenza di ieri nulla sarà più come prima. Inevitabilmente essa darà una scossa, farà affrontare i futuri processi Berlusconi – che pendono davanti a diverse sedi giudiziarie, Napoli e Bari oltre che Milano – in una prospettiva assolutamente «altra».

Rispetto alla sentenza d’appello di ieri l’auspicio è, comunque, che essa abbia costituito davvero, e soltanto, come dovrebbe essere, il risultato di una scelta compiuta in coscienza, autonomia e libertà da parte di giudici onesti e trasparenti e che su di essa non abbia in nessun modo interferito l’annoso problema dei rapporti fra politica e giustizia.

da La Stampa

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