«Il basolato ci danneggia i suv. Non si potrebbe fare qualcosa? Che so, coprirlo con una lastra di cristallo…». La contessa Marisela Federici, racconta divertito e affranto agli amici il commissario per l’Appia Antica Mario Tozzi, proprio non riusciva a capire perché mai non si trovasse una soluzione per quella pavimentazione posata a partire dal 312 a.C. da Appio Claudio Cieco. Che fastidio, per lei e gli ospiti dei party nella sua villa, sobbalzare su quelle basole!
Che la regina dei salotti potesse uscirsene con frasi simili si sapeva. Un giorno, alle telecamere di Riccardo Iacona, invitò quanti si suicidano per mancanza di lavoro a darsi da fare: «Lavorassero un po’ di più invece di lamentarsi tanto!». Ma lo stesso fastidio per quel basolato antico, potete scommetterci, lo provano senza dirlo molti di quelli che usano tutti i giorni la «Regina Viarum» come fosse una bretella stradale. Ad esempio consoli e proconsoli della politica e della burocrazia: senza il traffico e i semafori dell’Appia Nuova o della Tuscolana l’aeroporto di Ciampino pare più vicino: vuoi mettere la comodità?
Certo, dalla tomba di Cecilia Metella a Torricola il traffico sarebbe vietatissimo. Ci sono cartelli con la sbarra del divieto d’accesso. E qualche tratto, qua e là, è contromano. Ma su quella che è la più celebre strada del mondo antico, che i grandi viaggiatori risalivano a piedi o a cavallo sostando alle catacombe di San Callisto, alla Villa di Massenzio o al tumulo dei Curiazi, circolano nei giorni di punta, denuncia la direttrice Alma Rossi, duemila macchine l’ora. Sfiorando i temerari turisti che camminano verso le catacombe filo filo al muro dove San Pietro incontrò Gesù: «Quo vadis, Domine?». Per non dire dei giganteschi autotreni a due piani carichi di auto per la Hyundai, che sta ancora lì dopo aver ricevuto la disdetta del contratto dal Comune di Roma addirittura ventidue anni fa.
Antonio Cederna aveva visto tutto già nel 1953: «La via Appia Antica si avvia a diventare l’insufficiente corridoio di scolo dei vari quartieri che le stanno sorgendo ai lati». E ancora prima di lui aveva indovinato Wolfgang Goethe decantando la «solidità dell’arte muraria. Questi uomini lavoravano per l’eternità ed avevano calcolato tutto, meno la ferocia devastatrice di coloro che son venuti dopo ed innanzi ai quali tutto doveva cedere».
Sono decenni che il Parco dell’Appia Antica, 3.500 ettari in larghissima parte storicamente in mano ai privati, attende una vera sistemazione che metta ordine in un caos dove hanno spazio, oltre ai meravigliosi resti archeologici, case di cura e depositi di auto confiscate, garage del Cotral (il Consorzio trasporti pubblici) e sfasciacarrozze, centri sportivi con piscine fuorilegge e ville di miliardari col vizietto dell’abuso. Basti dire che, un quarto di secolo dopo la fondazione, il «Piano Parco» è ancora in sospeso. E galleggia tra competenze e sensibilità diverse: i Comuni di Roma e Ciampino, la Provincia e la Regione, le Soprintendenze di Roma e del Lazio, quella archeologica, quella per i Beni architettonici e il Paesaggio e, per le catacombe, la Pontificia commissione di archeologia sacra.
Tema: come possono gli amanti dell’arte e i turisti in genere riconoscere come un unico parco archeologico d’importanza planetaria un grande e caotico impasto di eccezionali testimonianze monumentali sparpagliate un po’ qua e un po’ là e spesso difficili da trovare come la stupenda isola verde della Torre del Fiscale, affidata a un manipolo di appassionati volontari, isola che ospita grandiosi acquedotti ma è assediata da palazzoni-alveari e dal traffico dell’Appia Nuova e della Tuscolana?
È in questo panorama di bellezza e degrado, prati verdi e mostruosità edilizie e disordine generale, panorama assai diverso dall’idea bucolica dell’Agro Romano coperto di fascinose rovine, che è nato il progetto «Operazione Grand Tour». Voluto per «valorizzare e rendere fruibile per romani e turisti l’“esperienza” dell’Appia Antica» attraverso una serie di iniziative finanziate anche da «Autostrade per l’Italia». E subito impallinato dall’Associazione Bianchi Bandinelli, dal Comitato per la Bellezza, da Salviamo il paesaggio, da Italia Nostra: «Un’operazione inverosimile».
Perché? Per «l’aspetto più sconcertante: la mobilità privata su gomma come elemento irrinunciabile e caratterizzante». Del resto, Autostrade non è forse «pronta a mettere a disposizione le proprie tecnologie autostradali, realizzando attività di comunicazione e marketing, punti di ristoro, laboratori e mostre»? «Robe da matti!», ribattono Mario Tozzi e l’Ente Parco: «Il progetto è nero su bianco: “chiusura al traffico con una nuova area Ztl” per ridurre al minimo del minimo i passaggi di macchine, restringimento delle corsie automobilistiche, nuovo limite inderogabile di velocità a 30 chilometri l’ora imposto con “tutor” e autovelox, controlli elettronici a tutti i sedici varchi d’ingresso, piste ciclabili per unire le varie parti del parco, stazioni di “bike sharing”, agriturismi con aziende agricole vere per conservare ciò che resta dell’Agro Romano, bus elettrici per collegare i siti. E da cosa e da chi dovrebbe essere difeso, il parco?»
Da «Autostrade», spiegano le associazioni citate. Non si fidano. Neanche se il progetto, così è scritto, si ispira «all’accordo Hewlett-Packard-Ercolano». Cioè il modello di mecenatismo che piace perfino ai più diffidenti difensori dei tesori monumentali italiani: «In nome di Antonio Cederna, l’uomo cui si deve la salvezza dell’Appia Antica e la modernità della sua concezione, ci opponiamo con determinazione all’accordo Beni culturali-Società Autostrade. E in nome di Cederna lanciamo un appello a quanti in Italia e nel mondo civile non sono disposti a barattare la storia e la cultura per un piatto di lenticchie».
Per cominciare, replicano dall’Ente Parco, non sono lenticchie, perché alla fine Autostrade potrebbe scucire dieci milioni di euro. E poi si tratterebbe di «mecenatismo puro. Esattamente come quello che è accaduto per la Piramide Cestia con percorso da tutti ritenuto esemplare». E il peso del colosso privato in cabina di regia? «Nessuna cabina di regia unica» e «tanto meno le Soprintendenze sono esautorate dal loro ruolo o delegittimate». E la mobilità su gomma? «L’intero progetto si basa sulla chiusura definitiva al traffico privato di tutta l’Appia Antica da Porta San Sebastiano a Frattocchie». E Autostrade cosa avrebbe da guadagnarci? «Neanche un marchio sui cartelloni. Solo lo sgravio fiscale e la possibilità di dire: è una cosa bella e l’abbiamo fatta anche noi».
Basterà a rassicurare chi pensa che comunque «pecunia olet» e tanta bellezza non dovrebbe essere contaminata dal denaro infetto di chi, orrore!, costruisce strade a sei corsie? Scommettiamo: no. Ma anche chi guarda con occhio torvo ogni intervento privato dovrebbe chiedersi: è giusto, in questi tempi di vacche magre, rinunciare a priori a finanziamenti preziosi prima ancora di vedere gli accordi firmati e protocollati? E quanto pesano, in queste diatribe, le gelosie sulle competenze? Mah…
da il Corriere della Sera
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