E’ successo anche ieri. Ancora una volta un magistrato si è sostituito ai medici e ha ordinato la somministrazione della terapia di Davide Vannoni a un paziente che la chiedeva. È un nuovo caso di quella «cura per decreto» che è somministrata solo in Italia e che fa parlare il mondo. Al caso Stamina e alla cura per decreto è dedicato l’e-book Acqua sporca. Cosa rischiamo di buttar via con il caso Stamina, scritto da Antonino Michienzi e Roberta Villa, disponibile su tutte le principali librerie online, scaricabile gratis perché finanziato attraverso un interessante esperimento di crowdfunding (una sorta di finanziamento preventivo dei futuri lettori), patrocinato da Scienzainrete, e intitolato alla memoria del «nostro» Romeo Bassoli, il giornalista che per anni ha animato le pagine scientifiche dell’«Unità», scomparso il 13 ottobre 2013.
Romeo, come giornalista e come paziente, si è sempre battuto contro le «false speranze», da chiunque alimentate: ricercatori, medici o mass media. E gli sarebbe piaciuto molto questo libro, anche e soprattutto perché racconta come un’industria delle «false speranze» stia cercando di imporsi nel «mercato della salute», travolgendo le norme e le regole create, neppure tanti anni fa, a salvaguardia dei cittadini
Antonino Michienzi e Roberta Villa ricostruiscono passo dopo passo la vicenda di Davide Vannoni e della Fondazione Stamina. Dimostrando come il professore laureato in lettere ed esperto di comunicazione sia riuscito a entrare nelle strutture della sanità pubblica e ad alimentare «false speranze» in tanti malati e famiglie di malati con una pratica che non ha i requisiti minimi per essere considerata una terapia, neppure una terapia non convenzionale, grazie alla compiacenza di un’incredibile quantità di persone – politici, medici, ricercatori e, appunto, magistrati – che hanno ruoli im- portanti nel sistema nazionale che sovraintende alla nostra salute.
L’«Unità» ha puntualmente raccontato queste vicende, che il libro ci ripropone con un racconto completo e organico. Il cui maggior pregio, tuttavia, è quello di dimostrare che la vicenda Stamina non è un caso isolato. E che Davide Vannoni non è che uno dei tanti «santi guaritori» che costellano la millenaria storia dell’industria delle «false speranze» in medicina. Stamina è l’espressione – magari degenere – di un vasto movimento che nella pratica e nella teoria sta cercando di ridisegnare il sistema di controllo e di sicurezza in ambito farmacologico e, più in generale, medico.
Un sistema che si è affermato negli an- ni 60 del secolo scorso, dopo la vicenda del talidomide, un farmaco ansiolitico
che dopo essere stato messo in commercio negli anni 50 e stato ritirato nel 1961 perché causa di centinaia di malformazioni fetali. Da allora le autorità sanitarie europee e americane hanno stabilito pro- cedure molto rigorose per la sperimentazione dei farmaci e dei protocolli clinici. Queste procedure hanno il consenso del- la comunità scientifica internazionale e hanno consentito di aumentare il livello di sicurezza in sanità. Ma hanno un difetto – almeno agli occhi delle imprese che producono farmaci e propongono protocolli clinici – di essere lunghe e costose. Negli Usa, per esempio, ogni anno vengono spesi 65 miliardi di dollari in ricerca e si ottengono solo una decina di formule veramente nuove. A torto o a ragione, le grandi aziende del farmaco ritengono che questa sia causa di una loro crisi prossima ventura. E chiedono meno regole, per introdurre novità nel mercato della salute. Poiché uno dei settori innovativi più promettenti è quello delle cellule staminali, ecco che la richiesta di «meno regole» si sta concentrando su queste cellule. Cellule che, finora, molto hanno promesso ma che, tutto sommato, poco hanno finora mantenuto.
La deregulation ha due dimensioni. Una pratica, una teorica. Quella pratica consiste nel creare industrie delle «false speranze» nei paesi con legislazioni meno rigorose. Si hanno notizie di queste industrie in Cina, in Giappone, in Messico. E si ha notizia di una nuova forma di «turismo sanitario» che vede centinaia di persone di tutto il mondo disposte a lunghi viaggi e a conti salati pur di accedere a terapie che molto promettono e che poco mantengono. Tuttavia a preoccupare di più è la dimensione teorica che, negli Stati Uniti e non solo, ha assun- to le forme di un «nuovo pensiero in sanità» proposta da un vero e proprio movimento, di matrice liberale e liberista, che chiede meno lacci e lacciuoli in sanità, nel nome della libertà di ciascuno di curarsi come vuole e di scegliere i rischi da correre. Il prerequisito è aggirare le norme sulla sperimentazione dei farmaci.
La speranza posta nelle cellule staminali è il cavallo di Troia considerato più promettente per smantellare il sistema di sicurezza e liberalizzare l’intero settore della biomedicina. In gioco ci sono fatturati da centinaia di miliardi di euro l’anno. Il caso Stamina in Italia è un piccolo rivolo di questo grande fiume che, nel nome della libertà, rischia di distruggere la sicurezza in sanità.
da L’Unità