I recenti dati dell’Istat sulla povertà delle famiglie e quelli della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie mostrano plasticamente il quadro delle due Italie che si allontanano sempre più per effetto della crisi e di meccanismi di diseguaglianze crescenti cui è difficile porre riparo. Renzi ci sta provando, coi tetti agli stipendi degli alti dirigenti e con gli 80 euro ai dipendenti. Troppo poco per la dimensione del gap e perché ci sono solo due modi per combattere le diseguaglianze, fisco progressivo e welfare inclusivo. Speriamo ci riesca, ma il tempo non gioca a favore, tra la gravità dell’oggi ed i tempi realizzativi di leggi e norme.
Il raddoppio della povertà assoluta tra 2007 ed oggi, da 2,4 milioni, 4% della popolazione, a 4,8 milioni, 8% della popolazione, è un segnale di gravità assoluta, cui neanche iMedia hanno dedicato l’attenzione dovuta. Solo in Grecia, in nessun altro paese Spagna inclusa, si è realizzato un peggioramento così netto della condizione sociale. Al cospetto di questi dati, se non si sono verificati sinora episodi significativi di violenza sociale, questo è dovuto alla funzione di aiuto a figli e nipoti esercitata da milioni di pensionati, quelli che godono di pensioni calcolate col vecchio metodo retributivo, che però, secondo la legge inesorabile del fine vita, si riducono di alcune centinaia di migliaia ogni anno. Gli esperti ritengono che almeno la metà dei 14 milioni di pensionati attualmente sostengono almeno 8 milioni di giovani e relative famiglie, consentendo loro una stentata sopravvivenza.
«Nonostante il calo degli ultimi anni, le famiglie italiane mostrano nel confronto internazionale un’elevata ricchezza netta, pari a 7,9 volte il reddito lordo disponibile; tale rapporto è comparabile con quello di Francia, Regno Unito e Giappone e superiore a quelli di Stati Uniti, Germania e Canada». Così commentava Bankitalia nel suo ultimo rapporto 2013 sulla ricchezza delle famiglie. Si noti che gli italiani sono più ricchi anche di paesi con Pil per abitante più alto. C’è un’altra peculiarità del dato italiano: l’elevata ricchezza di cui parla Bankitalia ha una sua caratteristica unica, è concentrata in poche mani, il 46% della ricchezza totale di 8.542 miliardi è posseduta da 2,4 milioni di famiglie, il 10% della popolazione, mentre l’ultima metà della popolazione ne possiede meno del 10%. C’è di più. Le due Italie , la maggioranza di poveri e ceto medio e la minoranza dei più ricchi, bravi e fortunati hanno reagito diversamente rispetto alla crisi, il potere d’acquisto della maggioranza si è ridotto molto di più della ricchezza reale e finanziaria.
«Nel 2012 il valore della ricchezza netta complessiva è rimasto quasi invariato, dato che la flessione del valore delle attività reali (gli immobili, -3,5%) è stato in parte compensata da un aumento delle attività finanziarie (4,5%)» (BdI).
Di fronte al perdurare di una crisi feroce che colpendo duramente poveri e ceto medio mina le basi di convivenza civile e democratica, di fronte alla condizione di «ricchezza» di una minoranza, meritata sin che si vuole ma comunque realizzata anche grazie agli stakeholder del sistema paese, lavoro, territorio, ambiente, etc., la soluzione di chiedere un contributo straordinario – non chiamiamola più patrimoniale, come si suggerisce da più parti -, un contributo una tantum ai cittadini che possono per aiutare a non morire, donne, vecchi e bambini mi sembra una soluzione obbligata per una nazione che voglia continuare ad essere tale e non solo un declinazione geografica.
Perché rivolgersi alla ricchezza e non ai reddito come fatto in occasione di crisi passate (Giuliano Amato)? Perché la ricchezza in Italia è più facilmente monitorabile rispetto ai redditi, la ricchezza immobiliare è nel Catasto, la ricchezza finanziaria nella banca dati della Finanza.
Le formule di un contributo straordinario che potrebbe fornire qualche decina di miliardi sono molte. Una di queste, ripresa da Luca Landò su l’Unità, è di chiedere un contributo straordinario ai possessori di ricchezza superiore ai 2 milioni di euro, che sarebbero poco meno del 10% dei 24 milioni di famiglie totale. Un’aliquota media dello 0,5% darebbe un contributo straordinario medio di 10mila euro a famiglia, che non manderebbe fallito nessuno e potrebbe fornire a Renzi e Padoan una ventina di miliardi utili a tante cose, estendere il contributo degli 80 euro ad altre categorie in pena, pensionati, precari, partite Iva, stabilire sussidi per le famiglie povere, pari alla differenza tra reddito familiare e livello di povertà, etc. Molti autorevoli personaggi hanno in passato avanzato proposte simili, senza successo, da Pellegrino Capaldo a Luigi Abete, da Pietro Modiano a Vito Gamberale, a Carlo De Benedetti ed altri ancora, senza successo. Sinora né Renzi né i suoi hanno mostrato sensibilità al tema, con l’eccezione del responsabile economico Taddei, se ho ben capito alcune sue riflessioni. Ma, si sa, Spes ultima dea.
da L’Unità