attualità, politica italiana

"Ecco il nuovo Senato: cento membri, niente fiducia ma eleggono il Colle" (di g.c.)

Il traguardo è vicino. Oggi pomeriggio la riforma del Senato approda in aula, anche se ieri sera la commissione Affari costituzionali di Palazzo Madama non ha votato la fine del Senato elettivo. Lo farà stamani: garantisce il capogruppo dem Luigi Zanda. Serrati i tempi, come voleva Renzi. Lunedì dibattito no-stop dalle 11 alle 22, mercoledì già si comincia a votare. Intanto in commissione via libera a due emendamenti che cambiano il quorum per l’elezione del capo dello Stato e il numero di firme necessarie per il referendum popolare. Passano cioè da 500 mila a 800 mila. I Radicali protestano: «È contro la democrazia». Il “patto del Nazareno” tra Renzi e Berlusconi tiene, nonostante tutti i malumori. A finire ko sono le opposizioni e i “frondisti” del Pd e di Forza Italia. Avevano chiesto più tempo per il dibattito, uno slittamento di almeno una settimana. Non l’hanno ottenuto. Vogliono il Senato elettivo. Ma la forma della futura Camera delle autonomie prevederà che ciascuna regione non abbia meno di due senatori e il restante dei seggi saranno attribuiti con criterio proporzionale tenuto conto della composizione di ciascun consiglio regionale. A indicare i nuovi senatori saranno i consiglieri regionali che voteranno una lista composta anche da un sindaco. La giornata è fatta di botta e risposta e di nuove tensioni tra il governo e la maggioranza che accelerano e i dissidenti. Alla cena di mercoledì prossimo a Bruxelles per le ultime nomine Ue, il premier vuole arrivare con un primo voto sul nuovo Senato per dimostrare che l’Italia fa sul serio e ha già cominciato a cambiare l’architettura istituzionale. E le riforme provocano maretta tra i 5Stelle. Forza Italia è nel caos. I Dem sono divisi e la minoranza apre il fronte Italicum, la nuova legge elettorale, che vuole sia modificata.

Schede di Sebastiano Messina
ELETTIVITÀ DI SECONDO GRADO
Gli italiani non lo voteranno più. 500 milioni di indennità in meno
SE STAMATTINA la commissione approverà l’emendamento più scottante, gli italiani non voteranno più per il Senato. Almeno non nelle cabine elettorali. Saranno i consiglieri regionali a indicare — con una elezione di secondo grado: eletti che eleggono altri eletti — i nuovi membri di Palazzo Madama. Che non saranno più 315 ma 100, ovvero 95 tra consiglieri regionali e sindaci più 5 senatori di nomina presidenziale. Il meccanismo contenuto nell’emendamento depositato ieri pomeriggio dai relatori Finocchiaro e Calderoli prevede che le elezioni si svolgano nei Consigli regionali, con un sistema rigorosamente proporzionale destinato a impedire che chi ha la maggioranza nelle Regioni si accaparri tutti i seggi disponibili. Le votazioni avverranno su liste concorrenti, e i candidati potranno essere solo consiglieri in carica o sindaci (uno per lista). Oltre a ciascun candidato andrà indicato anche un candidato supplente, che prenderà il posto dell’eletto nel caso in cui lui, per qualsiasi ragione, decadesse dalla carica di consigliere regionale o di sindaco.
Per i nuovi senatori non è più prevista l’indennità (che nella nuova formulazione della Costituzione viene riservata ai soli deputati). Se si considera che oggi un senatore senza cariche particolari oggi riceve ogni mese più di 14 mila euro — tra indennità, diaria e rimborsi forfettari per viaggi e assistenti — in questo modo lo Stato risparmierà ogni anno oltre mezzo miliardo di euro.
 
L’ITER DELLE LEGGI
Modifiche in tempi strettissimi ai testi approvati dalla Camera
SCOMPARE (finalmente) il bicameralismo perfetto. Sulle leggi che esulano dalle sue nuove competenze costituzionali, il Senato potrà esprimere proposte di modifica (su richiesta di almeno un terzo dei suoi componenti, da presentare entro dieci giorni dal momento in cui la legge verrà trasmessa a Palazzo Madama), ma in tempi strettissimi: gli emendamenti dovranno essere votati entro trenta giorni, dopodiché la legge tornerà alla Camera che entro i successivi 20 giorni si pronuncerà definitivamente (e potrà anche respingere le proposte di modifica). La procedura sarà un po’ complicata per le leggi che riguardano i poteri delle Regioni e le autonomie locali: in questi casi, per respingere le modifiche richieste dal Senato, alla Camera sarà necessaria la maggioranza assoluta dei suoi componenti (e non solo dei presenti). A differenza di quanto era stato ipotizzato in un primo momento, i senatori saranno chiamati a esprimersi anche sulle leggi di bilancio, ma dovranno votare le proposte di modifica entro 15 giorni: anche in questo caso però l’ultima parola spetterà alla Camera. Il governo, inoltre, avrà il potere di chiedere che sui provvedimenti indicati come «essenziali per l’attuazione del programma di governo» la Camera si pronunci entro il termine tassativo di 60 giorni: alla scadenza del tempo, ogni provvedimento sarà posto in votazione «senza modifiche, articolo per articolo e con votazione finale».
 

COMPETENZE RIDOTTE
Un ponte tra lo Stato e le Regioni diritto di parola sulla Costituzione
IL NUOVO Senato non potrà occuparsi di tutto. La novità più importante è senza dubbio che non potrà più esprimere la fiducia (o la sfiducia) al governo. Il suo compito prevalente sarà quello di esercitare «la funzione di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica», ovvero Regioni e Comuni. Solo per alcune materie conserverà la funzione legislativa e i poteri di sindacato ispettivo.
Potrà per esempio interrogare i ministri, verificare l’attuazione delle leggi, esprimere pareri sulle nomine governative e nominare commissioni d’inchiesta sulle autonomie territoriali, ma Palazzo Madama dovranno passare solo le riforme della Costituzione, le leggi costituzionali, le leggi elettorali degli enti locali e le ratifiche dei trattati internazionali. Tutte le altre saranno di competenza della Camera dei deputati.
Nello stesso tempo, con la modifica del Titolo V della Costituzione, lo Stato rovescia il sistema per distinguere le sue competenze da quelle delle Regioni. Mentre oggi vengono elencate tutte le materie su cui queste ultime possono legiferare, con la riforma è lo Stato a delimitare la sua competenza esclusiva (l’elenco va dalla A alla Z, partendo dalla politica estera per arrivare agli aeroporti, passando per la produzione di energia, il governo del territorio, i beni culturali, il turismo e la tutela della salute, materie sulle quali sono sorti numerosi conflitti tra lo Stato e le Regioni).

ABOLITI QUELLI A VITA
Senatori di nomina presidenziale saranno cinque: in carica per 7 anni
SCOMPAIONO i senatori a vita, sostituiti nel nuovo Parlamento dai senatori di nomina presidenziale. Il loro numero sarà limitato a cinque, e la durata del mandato (non ripetibile) sarà fissata in sette anni. Non cambia, invece, il criterio di scelta: dovranno essere «cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario ». E gli attuali senatori a vita, che fine faranno? Oggi sono 5 (Ciampi, Monti, Cattaneo, Piano e Rubbia) e la riforma costituzionale sembrerebbe tagliata su misura per loro, perché stabilisce «la permanenza in carica dei senatori a vita già nominati». Ma ai cinque bisognerà aggiungere anche Napolitano, che alla fine del suo mandato presidenziale avrà diritto al seggio di senatore a vita che aveva ancora prima di essere eletto al Quirinale. E quindi è probabile che il nuovo Senato abbia non 100 ma 101 senatori

QUIRINALE
Regole più “rigide” per eleggere il presidente della Repubblica
ANCHE il prossimo presidente della Repubblica sarà eletto con alcune importanti novità. Scompariranno i delegati regionali, ma cambierà anche il numero di votazioni per le quali sarà richiesta la maggioranza dei due terzi, un quorum altissimo che solo in pochi (e tra questi Ciampi, Cossiga e Napolitano) sono riusciti a superare. Attualmente la Costituzione impone questo quorum fino al terzo scrutinio, oltre il quale è sufficiente la maggioranza assoluta, ovvero la metà più uno. La nuova norma invece il quorum dei due terzi per primi quattro scrutini, poi lo fa scendere ai tre quinti nei successivi quattro, e solo alla nona votazione (non più alla quarta) lo abbassa alla maggioranza assoluta dei «grandi elettori». Un incentivo alle larghe intese, ma nulla di più: Saragat fu eletto al ventunesimo scrutinio, e Leone al ventitreesimo.  

da La Repubblica

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