Doccia scozzese per l’immunità. Ieri pomeriggio il voto in commissione che la reintroduce per intero anche nel Senato non elettivo e competenze ridotte. Ma poi a sera la lettera di Renzi ai 5S che riapre a una migliore soluzione.
La scorsa settimana era apparsa una commedia degli equivoci. Grottesca, ma anche facile da risolvere. Era avvenuto infatti che negli emendamenti era improvvisamente sbucata lo scudo. E però tutti rinnegavano la norma. Figlia di nessuno. Spuntata come una improvvida Minerva dalla testa di Giove.
L’esecutivo ribadiva la sua assoluta contrarietà. Non solo i grillini urlavano allo scandalo ma anche dal Pd a Forza Italia, respingevano sdegnati ogni addebito. I relatori reagivano addirittura offesi. Il cerino girava a velocità vorticosa. Più del proscenio di una importante riforma istituzionale, sembrava, come ha scritto Massimo Giannini, la trama di Agatha Christie dove colpevole è solo il maggiordomo. Nella conseguente rissa surreale, strafalcioni contrapposti si inseguivano. Gli uni gridavano “per Camera e Senato, o per nessuno”. Senza però considerare che a funzioni e investiture diverse ben può connettersi una diverso regime di guarentigie. Gli altri ribattevano con il rifiuto di privilegiare i nuovi senatori, scelti tra sindaci e consiglieri regionali, rispetto ai colleghi locali. Dimenticando però che è l’incarico aggiuntivo a giustificare la diversità e che l’insindacabilità, i consiglieri regionali già la hanno garantita dall’attuale Costituzione.
In tanta confusione Anna Finocchiaro e con lei tutto il Pd, avanzavano la proposta migliore. Immunità va bene nella divisione dei poteri, argine ad ogni pericolo di abuso del “giudiziario”; e però, questa giusta guarentigia, perché conservi una funzione qualificante e non deprimente di una democrazia costituzionale, non può essere affidata alla domestica gestione dei suoi stessi beneficiari ma alla Corte costituzionale, che già oggi è il giudice dei conflitti.
Una soluzione perfetta, se mai ve ne fu una. Autenticamente riformista. Non cede alle contingenti ondate demagogiche. Si fa giusto carico dei ricorrenti scandali che colpiscono la politica, e dell’esigenza di restituire la guarentigia alla sua più alta credibilità. A ben vedere nell’interesse stesso del Parlamento se solo alzasse lo sguardo dalla punta dei propri piedi. Perché è evidente come la gestione domestica rischia l’effetto paradosso di imporre sempre a furor di popolo la prevalenza del “giudiziario”.
Soluzione perfetta ma ieri nuovamente sparita. Scomparsa nel nulla. In commissione, guidata dalla stessa Finocchiaro, è passato infatti l’emendamento originario con l’immunità piena e completa, senza se e senza ma, e col voto favorevole di tutti. Parere positivo del governo compreso.
Il nuovo scaricabarile di palazzo insinua che sarebbe la Consulta a declinare l’invito. Ne saremmo sorpresi e comunque non ve ne sarebbe ragione. Giusto che la Corte respinga ipotesi pasticciate come quelle di prevedere il suo intervento in funzione di improprio giudice di “appello” su decisioni che resterebbero in prima battuta alle Camere. Perché questo fomenterebbe gli scontri.
Ma un esame diretto della Consulta sulla sussistenza o meno del fumus persecutionis è soluzione del tutto fisiologica per il giudice naturale sui conflitti tra i poteri. In realtà fondato è il sospetto che ancora una volta sia la scelta di tutti su cui però nessuno vuol mettere la faccia. Uno spiraglio però si è riaperto ieri sera. Perché alla questione fa esplicito riferimento la lettera di Renzi ai Cinquestelle. Non sfugge del resto al governo l’esigenza di evitare che un Senato in larga parte composto da componenti dei consigli regionali macchiatisi degli scandali più odiosi, appaia al di là delle intenzioni un improprio rifugio per i furbi. Una Camera non delle autonomie ma delle impunità. Sarebbe un triplo errore e una nuova grande occasione perduta, per una svolta nel rapporto tra elettori, politica e giustizia, lontana insieme dalle solite demagogie e da rinnovate furbizie.
da La Repubblica