Se oggi l’Europa facesse un selfie che immagine verrebbe fuori? Posso dirlo con estrema preoccupazione? Emergerebbe il volto della stanchezza, in alcuni casi della rassegnazione. Se dovessi dirlo in modo sintetico, l’Europa oggi mostrerebbe nel selfie il volto della noia. Questa mattina si è chiuso il semestre greco, con un passaggio di consegne. Se in tutto il mondo ci si chiede qual è il testimone tra Grecia e Italia, si pensano cose straordinariamente affascinanti: qualcuno pensa al rapporto tra Anchise ed Enea, tra Pericle e Cicerone. Grecia e Italia sono agorà e foro, il tempio e la Chiesa, il Partenone e il Colosseo. E invece non pensiamo a questo quando parliamo di Grecia e Italia, e neanche al senso della vita, nonostante Aristotele e Dante, Archimede e Leonardo. Pensiamo alla crisi, allo spread, alle difficoltà finanziarie, perché è molto forte nel nostro corpo la ferita lasciata dalla recente difficoltà congiunturale economica. La grande sfida del semestre europeo non è elencare una serie di appuntamenti che pure ci saranno, la grande sfida del nostro continente è ritrovare l’orgoglio, il senso profondo dello stare insieme. Un’identità forte, profonda, altrimenti perdiamo la sfida.
L’Italia ha parlato un linguaggio di verità, dicendo che siamo noi a dover fare le riforme, e in queste ore il Senato sta votando la riforma che cambia le regole del gioco nel nostro Paese. L’Italia non viene qui per chiedere all’Europa i cambiamenti che lei non è in grado di fare, ma a dire che lei per prima ha voglia di cambiare. E lo fa con il coraggio di chi va nelle istituzioni europee non per chiedere, ma per dare. Noi non chiediamo di cambiare le regole, diciamo, però, che rispetta le regole chi si ricorda che abbiamo firmato insieme il patto di stabilità e crescita. La richiesta di crescita come elemento fondamentale della politica economica europea serve all’Europa e anche all’Italia: senza crescita l’Europa non ha futuro. Noi non chiediamo un giudizio sul passato, non ci interessa. Ci interessa cominciare il futuro.
Qui non c’è un’Italia che chiede scorciatoie, ma un’Italia che con coraggio e orgoglio chiede di fare la propria parte. E c’è anche una generazione nuova. Una generazione Telemaco. La nostra generazione ha il dovere di riscoprirsi Telemaco, ha il dovere di meritare l’eredità. Noi non vediamo il frutto dei nostri padri come un dono dato per sempre, ma come una conquista da rinnovare ogni giorno.
L’Italia vuole vivere questo semestre immergendosi nello spirito della discussione europea, portando la propria voce nella politica estera. Non si può non ascoltare la voce che chiede libertà e Europa che viene dall’Ucraina e dai paesi dell’Est del nostro continente, ma contemporaneamente diciamo che non si costruisce l’Europa contro il nostro maggiore vicino.
Nel nostro semestre dovremo essere capaci di affrontare con forza la questione della semplicità delle nostre istituzioni. Se in questa Smart Europe che vogliamo costruire tutti insieme saremo al fianco di chi ha idee politiche diverse, questo dovrà essere un fatto che ci inorgoglisce. Un’Europa senza Regno Unito sarebbe meno Europa, sarebbe meno sé stessa.
Non ci sarà nessuno spazio per l’Europa se accetteremo di restare soltanto un puntino su Google maps. Noi siamo una comunità, un popolo, non un’espressione geografica. Perché questo accada, nel semestre europeo dobbiamo affrontare la questione della semplicità.
L’Europa deve tornare a essere una frontiera. Lo è fisicamente, geograficamente, tutti i giorni. E’ una frontiera anche perché se guardiamo la cartina geografica vediamo il luogo che ha il maggior numero di chilometri di coste, siamo geograficamente per forza una frontiera. Questo ci pone molti problemi, ne sappiamo qualcosa noi in Italia in questo momento, quando le difficoltà in Libia, non genericamente in Nord Africa ma in Libia, stanno portando a una serie di stragi nel nostro Mediterraneo, mare nostrum per i latini, ai quali cerchiamo di far fronte con operazioni condivise dai capi di governo e dalla Commissione, e riusciremo a far fronte in modo più deciso con Frontex Plus. Ma non c’è solo l’immigrazione, dobbiamo provare a rovesciare l’approccio: l’Africa deve vedere un’Europa protagonista non solo con gli investimenti economici o con la questione energetica, ma anche nella dimensione umana. Voi rappresentate, quale vertigine, un faro di civiltà, la civilizzazione della globalizzazione.
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