L’uccisione brutale dei tre ragazzi rapiti è una tragedia che allontana la pace ed evidenzia la necessità di un confine chiaro, riconosciuto, fra Israele e Palestina. La pace è più lontana perché le conseguenze di quanto avvenuto vedranno il governo israeliano di Benjamin Netanyahu tentare di schiacciare Hamas e Hamas scivolare su posizioni sempre più estreme, rintanandosi nell’angolo del terrorismo.
Per chi, come me, aveva creduto, serbato grande speranza, nel governo di unità nazionale palestinese di Abu Mazen, con Fatah e Hamas assieme, è un giorno triste. Credevo che questa intesa a lungo perseguita da Abu Mazen, potesse costituire una svolta e avvicinare la soluzione dei due Stati ma ora questo orizzonte si allontana nel tempo. Anche se, in realtà, sappiamo ancora molto poco di quanto è avvenuto: mancano le informazioni su come sono stati uccisi i tre adolescenti, su chi li ha uccisi e dunque anche certezze sulla matrice politica ovvero se si è trattato di un crimine commesso da Hamas oppure da gruppi isolati di criminali che rispondono solo a se stessi.
Israele ha già vissuto purtroppo, in passato, molte tragedie simili, nel centro di grandi città come Gerusalemme e Tel Aviv, pagando un prezzo di vite molto alto all’assenza di pace. Ma questa tragedia possiede un elemento in più: i tre ragazzi, studenti di scuola religiosa, quando sono stati rapiti si trovavano in un’area che in realtà non appartiene a nessuno ed evidenzia le conseguenze negative dell’assenza di una pace duratura fra Israele e Palestina.
Si tratta infatti dell’Area C della Cisgiordania che, in forza degli accordi siglati a Oslo, si trova in Cisgiordania e in territorio palestinese ma è controllata solo dagli israeliani. Questi tre ragazzi pensavano di trovarsi in Israele ma in realtà erano in Palestina. C’è qualcosa di ancor più drammatico in questa tragedia perché vivere in un luogo pensando che sia un altro è la conseguenza dell’assenza di un confine. Se la frontiera fra Israele e Palestina non c’è, e l’Area C è una zona grigia indefinita, è per l’assenza di un accordo di pace duraturo fra i due Stati, nel rispetto di pace e sicurezza per entrambi. L’assenza di frontiera fa venire meno la responsabilità: se fosse formale, inequivocabile, l’appartenenza alla Palestina anche il governo palestinese sarebbe più responsabile.
Ci troviamo davanti a una spirale di conseguenze negative che accomuna ebrei ed arabi, portandoli sempre più a fondo come evidenziato da quanto sta avvenendo in queste ore con le forze israeliane che hanno sigillato la città palestinese di Hebron in Cisgiordania, peraltro da giorni sottoposta a coprifuoco. Anche per questo mi identifico completamente con la reazione che il presidente palestinese, Abu Mazen, ha avuto davanti al sequestro dei tre ragazzi israeliani, condannandolo come un «evento terribile» guardando anche alle «conseguenze che potrà avere» allontanando ancora una volta la speranza di pace per questa terra dove si confrontano le ragioni, entrambe legittime, di israeliani e palestinesi.
La Stampa 01.07.14