La vicenda Stamina ha molte facce. Tra queste ve ne sono tre – una giudiziaria, una sanitaria e l’altra scientifica – che riguardano direttamente Davide Vannoni, il fondatore di Stamina. Non affrontiamo la dimensione giudiziaria ma solo quella scientifica e sanitaria. La prima si fonda su due affermazioni di Vannoni, una laurea in lettere e filosofia e nessuna esperienza di ricerca in medicina o biologia. Primo: è possibile trasformare cellule staminali mesenchimali in neuroni mediante una tecnica precisa, basata sull’esposizione ad acido retinoico. Secondo: le cellule staminali mesenchimali così trattate possono curare gravi malattie neurodegenerative, come l’atrofia muscolare spinale, la distrofia muscolare o il Parkinson.
Ebbene, la dimensione scientifica della vicenda stamina si consuma tutta qui. Vannoni non ha fornito alcuna prova che queste affermazioni siano vere e verificabili. Non ha scritto alcun articolo scientifico sull’argomento. Non ha superato alcuna prova per brevettare la sua tecnica. Non ha fornito mai ad alcuno un qualche tipo di dimostrazione. Continua a trincerarsi dietro la necessità del segreto. Se divulgo la mia tecnica, dice, se ne approprierebbero gli altri. Uno dei valori fondamentali della scienza è, però, il disinteresse. C’è di più. Nessun ricercatore, che si sappia, è finora riuscito a ottenere quanto la Fondazione Stamina sostiene di poter garantire. Nessuno è riuscito a dimostrare che le cellule staminali mesenchimali si trasformano in neuroni mediante esposizione all’acido retinoico. E, men che meno, si è riuscito a dimostrare che le infusioni di un preparato a base di cellule mesenchimali abbiano un qualche effetto terapeutico su un qualsivoglia tipo di paziente. In realtà molti contestano persino che esistano prove fondate che nelle cellule raccolte dai membri di Stamina ci siano le staminali mesenchimali.
In definitiva, le affermazioni di Vannoni sono scientificamente prive di ogni fondamento. Se Vannoni è convinto delle affermazioni, non deve far altro che andare in un laboratorio, svelare i suoi segreti e consentire una sperimentazione indipendente, pubblica e trasparente. L’occasione gli è stata offerta più volte e a spese del contribuente. Ma lui l’ha sempre lasciata cadere. La dimensione scientifica della vicenda Stamina è tutta qui. Ed è una dimensione che Vannoni non sa risolvere.
Rispetto al passato questa volta non ci troviamo di fronte a una delle periodiche fluttuazioni miracolistiche che come meteore si affacciano nella storia della medicina, brillano di luce intensissima per poi subito dopo sparire senza lasciar traccia. Vannoni e Stamina sono una componente – come spiegano su Nature Paolo Bianco, biologo esperto di cellule staminali che ha contribuito a individuare le magagne scientifiche di Stamina, e Douglas Sipp, capo dell’Office for Research Communication presso il Riken Center for Developmental Biology di Kobe, in Giappone – di un fenomeno più vasto e più pericoloso. Non a caso, rilevano Bianco e Sipp, ci sono oltre 360 tentativi di applicazioni con cellule staminali mesenchimali (le cellule di Vannoni) oggi nel mondo. Il fenomeno è a scala globale e, in nome del mercato, rivendica la «deregulation» in medicina.
Le aziende che operano in sanità – a iniziare da quelle farmaceutiche – hanno difficoltà crescenti a introdurre novità sul mercato. Produrre un farmaco nuovo e innovativo, per esempio, comporta investimenti enormi, che superano il miliardo di dollari. E impegna una serie di procedure – necessarie per la sicurezza – che durano anni. Negli ultimi tempi la globalizzazione dell’economia ha allargato il mercato (chiamano così l’universo dei pazienti), ma ha aumentato molto di più la concorrenza. Sulla scena sono apparse agguerrite aziende cinesi, indiane, coreane. Di qui il tentativo di «salto del cavallo». E se, invece di dimostrare che un farmaco non solo non è dannoso ma è anche efficace, ci appellassimo alla libertà di cura e mettessimo sul mercato preparati che, superato un primo stadio di non immediata tossicità, potessero essere liberamente acquistate da «pazienti speranzosi»?
Il pericolo è che la medicina cesserebbe di essere una pratica che persegue solo il benessere delle persone, per diventare una sorta di lotteria dove gli ammalati vengono munti senza ritegno, mentre vince sempre e solo il banco.
da http://scienzaesocieta.comunita.unita.it/