La nomina di Jean-Claude Juncker a presidente della Commissione europea, rappresenta almeno in apparenza la vittoria del Parlamento europeo che, nonostante l’opposizione di Cameron e dell’ungherese Orban, è riuscito a far passare
il principio sancito nell’articolo 17 del Trattato di Lisbona.
In quell’articolo, si stabilisce infatti che la scelta del presidente della Commissione è fatta dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, tenuto conto delle elezioni europee.
Spetterà adesso al Parlamento europeo confermare con il suo voto Juncker alla presidenza della Commissione e, secondo gli accordi presi, Schulz alla presidenza del Parlamento europeo per un mandato di due anni e mezzo (dopo dovrebbe subentrare Lamassoure) sulla base dell’accordo di coalizione con il Ppe, accordo che verrà probabilmente rafforzato dall’apporto del gruppo dei liberali e democratici (Alde) guidato da Verhofstadt, per blindare il voto contro eventuali derive di qualche parlamentare della maggioranza verso posizioni euroscettiche.
La nomina di Juncker non è stata invece completata (il che da un punto formale è assolutamente corretto perché occorre attendere prima la nomina definitiva del presidente della Commissione), con l’approvazione di un pacchetto degli altri posti di rilievo come avrebbe voluto Renzi. Il che lascia tutto aperto sia per quanto riguarda l’Alto rappresentante, che il presidente del Consiglio Europeo e il presidente dell’Eurogruppo.
Il quadro delle nomine verrà completato il 17 luglio dal Consiglio europeo che si riunirà in coincidenza con la prima sessione del nuovo Parlamento, subito dopo il voto previsto il 16 luglio che dovrebbe confermare a maggioranza assoluta Juncker come presidente della Commissione.
Nella battaglia della nomine per ora la grande vincente appare Angela Merkel,
che non solo ha ottenuto la designazione di Juncker, ma ha anche messo una forte ipoteca sulla conferma dell’attuale commissario tedesco Ottinger all’Energia. Non solo, ma la cancelliera potrà contare sul finlandese
Katainen, subentrato al connazionale Olli Rehn al posto di commissario per gli affari economici e monetari, considerato anche lui un falco delle politiche di austerità.
Non sappiamo se Renzi abbia ottenuto affidamenti sufficienti per la nomina della Mogherini ad Alto rappresentante per gli Affari esteri e la Politica di sicurezza (Pesc), posto per il quale è tornato in lizza anche Massimo D’Alema, una candidatura considerata scomoda da Renzi ma che potrebbe farla propria, anche per motivi di equilibri interni al partito nel caso in cui, per una ragione o per l’altra, non decollasse quella dell’attuale ministro degli Esteri. Nessuna chance invece per Enrico Letta: l’asserita proposta franco britannica di una sua candidatura alla Presidenza del Consiglio stabile
dell’Unione è stata liquidata gelidamente da Renzi come irrealistica e inesistente. La battaglia non sarà facile per accontentare tutti e già si delineano numerose candidature provenienti da vari Paesi sui posti da assegnare a partire dalla carica di presidente del Consiglio europeo per la quale sembrano tramontare le possibiltà di successo per la socialdemocratica danese Thorning Schimdt, in favore dell’olandese Mark Rutte, liberale molto vicino all’ortodossia merkelliana.
C’è da augurarsi che il nostro presidente del consiglio abbia ottenuto affidamenti sufficienti durante il negoziato, poiché le sue armi di pressione si sono notevolmente ridotte dopo la nomina di Juncker.
Matteo Renzi insieme ad Hollande ottiene nelle conclusioni finali la tanto richiesta maggiore flessibilità che dovrebbe tradursi nella possibilità di utilizzare, in cambio di riforme, tutti i margini di manovra già esistenti
nel patto di stabilità, ivi compresa, e questa dovrebbe essere la novità, l’estrapolazione dal calcolo del deficit e del debito dei fondi nazionali destinati a cofinanziate i fondi strutturali comunitari, gli investimenti
produttivi, i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione a favore delle imprese, gli stanziamenti di bilancio a favore dell’Ems e così via. Ma su questo le conclusioni del Consiglio europeo non dicono nulla e si limitano a indicare che potranno essere utilizzati i margini di manovra già esistenti,
nel rispetto delle regole in vigore, ma non è dato di capire come potrà essere declinato questo mantra della flessibilità.
Chi esce per contro sconfitto dalla battaglia che ha ingaggiato sul nome di Juncker è David Cameron, che apre un periodo di grande incertezza in patria e nell’Unione sul futuro dei rapporti tra Ue e Gran Bretagna.
Si parla già di Europa a due velocità, di rinazionalizzazione di alcune politiche, nonché di un’accelerazione del referendum britannico su un eventuale uscita dalla Ue. Il periodo di incertezza che si apre non mancherà di alimentare polemiche e contestazioni, non solo in Gran Bretagna, ma in
molti altri Paesi, dove i partiti euroscettici rimproverano ai capi di Stato e di governo di aver disatteso le indicazioni del voto del 25 maggio per un radicale cambiamento delle politiche economiche di austerità.
Spetterà alla presidenza italiana dare un impulso in questa direzione e cercare di predisporre una roadmap attuativa degli impegni presi.
Non si può negare l’importanza assunta da questo Consiglio europeo, sia per l’ampiezza del dibattito che l’ha accompagnato nei vari Paesi, sia per le nuove prospettive che dischiude verso soluzioni di maggiore integrazione dell’Eurozona, con una Gran Bretagna ed altri Paesi che potrebbero rimanere
ai margini e contentarsi di alcuni vantaggi del mercato interno.
La nuova situazione potrebbe riaprire il cantiere delle riforme istituzionali e indirizzare il processo verso una più stretta integrazione politica con istituzioni proprie di una federazione leggera con comprtenze in alcune specifiche materie ben delimitate. Quanto all’Italia bisogna dire che è tornata protagonista nella scena europea, dopo la triste e oscura parentesi berlusconiana. Renzi si è mosso a suo agio e con grande personalità giocando un ruolo centrale sia per quanto riguarda la partita delle nomine, che la stesura dell’agenda del Consiglio, riuscendo a spuntare, oltre al principio di
una maggiore flessibilità, impegni più assertivi per quanto riguarda il problema emigratorio, la disoccupazione giovanile, la ricerca e l’innovazione.
La congiuntura politica si presenta favorevole per sfruttare al meglio il semestre di presidenza italiana, cercando di dare concreta attuazione alle buone intenzioni ancora una volta declinate nelle conclusioni di un Consiglio europeo.
da L’Unità