«La partita adesso si sposta in Italia». Al termine della due giorni di trattative («molto tosta» ammette) nel consiglio europeo prima a Ypres poi a Bruxelles, Renzi torna a casa con un accordo che definisce «molto molto buono».
Positivo, spiega il premier, sia nel metodo perché il sì a Juncker è stato posticipato e condizionato a «un accordo politico» su un programma per una Ue che cambi passo verso la crescita, «più alle famiglie che alle burocrazie». E questo era il metodo chiesto dall’Italia: prima le cose da fare, la direzione dove far viaggiare la macchina, poi il pilota. Sia nel merito visto che il focus del documento sottoscritto dai capi di stato e di governo è sulla crescita. Per Renzi si tratta di un successo arrivato anche attraverso una confronto diretto con pure qualche braccio di ferro con la cancelliera Merkel (gli attriti di giovedì notte si sono appianati poi in un faccia a faccia ieri mattina) in cui Renzi s’è fatto forte del successo elettorale del 25 maggio («rappresento il partito più votato d’Europa e quindi non c’è paura né complessi di inferiorità» spiega proprio a proposito dei rapporti con la leader tedesca) che di fatto l’ha messo alla testa del Pse. Il prodotto finale è che Juncker una volta che avrà incassato il sì del parlamento europeo sarà messo alla guida di una macchina, la Commissione, che dovrà mettere al centro delle proprie azioni la crescita e quindi usare le regole del patto in maniera flessibile. Un concetto che Renzi concretizza così: «chi fa le riforme ha diritto ad avere maggiori margini di flessibilità». Ed è qui che il viaggio di ritorno in Italia diventa fondamentale perché ora, avverte il premier, «le riforme vanno fatte» e quindi va fatto partire quel pacchetto che nelle intenzioni del governo sarà in grado di «cambiare faccia al Paese».
Un proposito che vale come esplicito avvertimento a chi pensava e pensa che
il governo non stava facendo sul serio e che come dice Renzi s’era convinto che bastava aspettare che passasse la nottata per vedere che alle intenzioni non sa- rebbero seguiti i fatti. «Noi dobbiamo dimostrare agli italiani e all’Europa che facciamo terribilmente sul serio» scandisce Renzi. L’esatto contrario quindi di chi aveva letto come un rallentamento, rispetto ai suoi primi quasi quattro mesi a Palazzo Chigi, il progetto dei prossimi «mille giorni», che anzi dal 1 settembre verranno scanditi da un conto alla rovescia sul sito del governo.
Il segno visivo che le «riforme non sono un optional» e che il patto firmato con gli 11 milioni di elettori il 25 maggio e con l’Europa ieri sarà onorato. Proprio perché i prossimi tre anni saranno «l’acro temporale» necessari a misurare lo scambio riforme per flessibilità sui conti. E qualche idea concreta Renzi già ce l’ha. Ad esempio sui pagamenti dei debiti pregressi della pubblica amministrazione il premier si attende una «soluzione tampone» per non farli conteggiare nel deficit visto che con la riforma della fatturazione elettronica (utile anche a combattere l’evasione fiscale annota Renzi) d’ora in avanti ogni pub- blica amministrazione potrà e quindi dovrà saldare i suoi conti entro 30 giorni come chiede la Ue. E la stessa flessibi- lità se l’aspetta sui cofinanziamenti italiani ai fondi europei.
Una situazione kafkiana visto che ora l’Italia ha indietro dalla Ue sottofor- ma di fondi strutturali un po’ meno soldi di quanto versi, ma poi per usarli deve metterci anche un po’ di risorse proprie che però vanno a far crescere il de- ficit e quindi a incidere sul rapporto del 3%. E così l’Italia rischia di restare appesa al dilemma se aiutare la crescita utilizzando i fondi Ue o stare attenta alla stabilità dei conti pubblici limitando gli investimenti nazionali. L’obiettivo quindi sarà ottenere flessibilità nel conteggio del deficit sia per i pagamenti dei debiti della Pa che per gli investimenti. Possibile? Renzi è convinto di sì. Ovviamente la «battaglia» contro i rigo- risti in Europa continuerà, e «non sarà una passeggiata» avverte Renzi. Ma og- gi, fa notare, è «possibile cioè che fino a ieri tutti ritenevamo impossibile». Anche sull’immigrazione il premier si ritiene soddisfatto immigrazione. Parla di un «buon accordo» nonostante l’assenza del reciproco riconoscimento delle richieste d’asilo. Però adesso c’è la base, chiarisce per poter finalmente allargare «l’operatività di Frontex» che concretamente dovrebbe voler dire che nel Mediterraneo l’Italia sarà un po’ meno sola e che forse nelle prossime settimane sarà possibile che l’operazione Mare Nostrum cessi di essere un’azione gestitata e pagata solo dal nostro Paese.
Insomma il bicchiere europeo è mezzo pieno. Evitare ubriacature trionfalistiche sarà necessario, però intanto la situazione dell’Italia appare meno com- plicata rispetto a due giorni fa. Ma molto, se non tutto, dipenderà se adesso l’Italia farà o no la propria parte, ragiona Renzi. È per questo che al premier certe faccende interne non sono pro- prio piaciute. L’ha trovate al limite dell’autolesionismo. Non tanto il tam tam sul nome di Enrico Letta per la presidenza del Consiglio europeo suonato, fa notare, solo da giornali e politici italiani. Quanto le divisioni portate dalla minoranza Pd al Senato sul disegno di legge costituzionale proprio nel momento in cui il governo in Europa stava dando battaglia per far tornare al centro delle politiche europee la crescita. Insomma uno sgambetto, almeno tentato, visto che Renzi è convinto che pur avendo riaperto una discussione oramai chiusa, la minoranza Pd non riuscirà a bloccare una riforma che è sì frutto di un compromesso ma che produrrà una forte «innovazione» istituzionale. Non portarla fino in fondo sarebbe un primo segnale negativo inviato all’Eu- ropa. Ma per Renzi non accadrà. «L’accordo terrà» promette e avvisa.
da L’Unità