Eccetto Priebke e Kappler gran parte dei crimini restano impuniti
La Germania si rifiuta di individuare i responsabili e risarcire le vittime forte di un verdetto della Corte Costituzionale dell’Aja del 2012
STRAGI NAZIFASCISTE. UNA LUNGA SCIA DI SANGUE INNOCENTE CHE PUNTEGGIÒ L’OCCUPAZIONE TEDESCA IN ITALIA TRA L’ESTATE DEL 1943 E IL MAGGIO 1945, CON EPICENTRO NEL 1944 IN TOSCANA. Solo furore? O anche metodo nella follia, cioè strategia? I numeri. Nel biennio vi furono 400 stragi e il bilancio fu di 15mila vittime civili, tra massacri di inermi e rappresaglie. Mentre per i partigiani passati per le armi, Carlo Gentile e Heinz Klinkhammer parlano di 10mila persone. Dunque Toscana nel mirino, per la sua posizione al centro dell’Appennino, cruciale per il ripiegamento tedesco verso la linea Gotica dopo lo sfondamento a Cassino e la liberazione di Roma il 4 giugno 1944. In Toscana tra aprile e agosto del 1944 i comuni interessati furono 83 e 280 le stragi, con 4500 assassinati. La più famosa, almeno quanto quella di Marzabotto, fu la tragedia di Sant’Anna di Stazzema, il 12 agosto. In tre ore una divisione delle Ss trucidò 560 persone: anziani, donne e bambini. Tutto documentato e occultato nei famosi «armadi della vergogna». Nel gennaio 1960 il procuratore generale militare Enrico Santacroce impacchetta col timbro «archiviazione provvisoria» 695 fascicoli sulle stragi tedesche, seppellendole in un armadio contro un muro. Solo nell’estate 1994 il giudice Antonino Intelisano, a caccia di prove contro Priebke, trova i fascicoli, in uno sgabuzzino di Palazzo Cesi, negli uffici giudiziari militari a Roma.
E la polemica sulla memoria si incendia. Già, perché oltre al processo contro Priebke, è in corso la discussione sulla «guerra civile» in Italia, sul fascismo non più «male assoluto» a differenza del nazismo. Sui ragazzi di Salò, e le responsabilità della Resistenza. Di lì a qualche anno sarebbe fiorita la saga di Giampaolo Pansa contro la Resistenza rossa e le sue vendette, ben dentro la polemica di destra contro il fondamento antifascista della Costituizione a base della democrazia parlamentare, da rifondare in chiave presidenzialista.
Ma torniamo alle stragi. Chi le perpetrava e perché? Chi ne fu complice? E quanto furono punite nel dopoguerra? Ecco le formazioni più feroci di stragisti. La Leibstandarte Adolf Hitler, presente a Boves, Lago Maggiore e Istria. Le unità SS Karstjaeger, attive in Venezia Giulia e Friuli. La 16ma SS Panzer-GrenadierDivision ReichsFuehrer, colpevole di aver soppresso non meno di 2mila civili tra luglio e settembre 1944 in provincia di Pisa, Lucca, nelle Apuane e nell’Appennino Bolognese. Anche Whermacht e Luftwaffe sono in prima fila. «Uomini comuni» e veterani della pulizia ideologica, unità combattenti e specialisti della guerra etnica, spesso reduci dai massacri orientali. Addestrati per il Bandengebiet, il rastrellamento metodico che devasta villaggi e vallate, deporta e cattura ostaggi. Come sapevano fare i 33 «pacifici» SS Bozen incappati nell’attentato di Via Rasella: volontari altoatesini destinati alla repressione e alla mattanza e a tal fine istruiti.
Perciò collera e furore, vendetta e punizione, contro gli italiani traditori che osavano opporre resistenza, già a partire dalle stragi di Nola, Acerra, Caiazzo dell’estate 1943. E a Cefalonia dopo l’8 settembre. Poi guerra etnica: caccia agli ebrei col supporto della Rsi e delle sue leggi (eredi di quelle razziali del 1938 con relativi elenchi). E infine «strategia»: dissuadere le popolazioni dal fornire aiuto ai partigiani. Con ferocia sistematica. E addossando ai resistenti la colpa delle rappresaglie. Era il risvolto psicologico della contro-resistenza contro l’avanzata Alleata sul fronte italiano, inteso come scudo a favore della Germania. Mossa capace di sottrarre uomini e mezzi alleati dal fronte occidentale. E ritardare l’assedio finale al Reich da Ovest, prima della controffensiva delle Ardenne. Poi c’erano i ragazzi di Salò. Apporto logistico, spionistico e materiale ai tedeschi. In nome dell’«onore». E perciò elenchi di persone sospette, carte toponomastiche, e fornitura di plotoni di esecuzione, come a Piazzale Loreto il 10 agosto 1944. Oltre alle rappresaglie fatte in proprio, con l’avallo dei Tribunali speciali: Ferrara, Lovere, Savona, Reggio Emilia, Genova, Villamarzana, Villa Sesso.
E la punizione dei colpevoli nel dopoguerra? Vendette e giustizie sommarie a parte, per lo più i fascisti se la cavano, tra amnistia di Togliatti, epurazioni soft e sconti di pena. Molto più severa sarà la magistratura coi partigiani, spesso accusati di crimini comuni. Ma la vera sanatoria sarà quella per i tedeschi. Uomini e ditte che si riciclano nella vita civile. Amnistiati, graziati, rilegittimati. Come Kesserling, stratega del terrore in Italia, condannato a morte da un tribunale inglese nel 1947, poi graziato e liberato nel 1952 (e divenuto consulente militare di Adenauer nel quadro del riarmo Nato). O come la Bayer nel consorzio «Ig Farbe» che produceva il gas Ziklon b e come la Krupp, la Thyssen e tante industrie germaniche complici della macchina nazista. Quanto alla giustizia tedesca malgrado le Convenzioni dell’Aja e di Ginevra, Norimberga e la Carta dell’Onu mostra ancora riluttanza nel processare i colpevoli di stragi.
Valga l’esempio di S. Anna di Stazzema, su cui si sono pronunciati i tribunali militari di La Spezia, Roma e la Cassazione. La Procura di Stoccarda il 26 settembre 2012 ha archiviato il processo, pur accettando che si trattasse di crimine di guerra. Ma l’archiviazione si basava sulla tesi pretestuosa che dopo dieci anni di indagini, la giustizia tedesca non poteva accertare il ruolo dei singoli imputati. Né si dichiarava comprovato che il crimine fosse stata un’azione pianificata contro i civili, invece di un’azione avvenuta durante lo scontro con i partigiani. I giudici tedeschi dichiararono che la sentenza italiana di La Spezia del 22 giugno 2005 era fondata sul nulla, e che i dieci imputati erano stati giudicati senza fondamento. Eppure c’erano rei confessi, che avevano dichiarato di aver ricevuto l’ordine di massacrare deliberatamente i civili. Inutile il successivo ricorso sempre a Stoccarda, presentato dall’avvocato Gabriele Heinecke e dallo storico Carlo Gentile. Secondo i giudici mancava a Stazzema «un ordine scritto» per appurare la dinamica del crimine! Come dicono i negazionisti sulla Shoa. Ergo, non processabilità degli imputati: 14 inizialmente, poi ridotti a 5 ultranovantenni nel 2013, e oggi rimasti in tre. Infine nuovo ricorso, alla Corte di Karlsruhe stavolta. Ma la Corte nel novembre 2013 ha già sospeso le indagini contro tre degli imputati superstiti, e dichiarato che le condizioni di salute di un quarto non sono compatibili col processo, mentre un quinto imputato è deceduto. Nel frattempo parole solidarietà e comprensione sono venute dal Presidente tedesco Gauck e da Schulz. Ma il punto resta: la Germania si rifiuta di condannare i colpevoli e risarcire le vittime, forte di un verdetto della Corte Internazionale dell’Aja del 2012, avverso ai risarcimenti richiesti ai tedeschi, in nome del diritto «all’immunità giurisidizionale contro i crimini nazisti». Insomma, la Germania di oggi non risponde per quella di ieri. Anche se poi la Germania di oggi, quella nata nel 1989, ha rivendicato l’annessione dell’est in nome della continuità della nazione tedesca. Applicando, ai comunisti della Ddr, un insieme di leggi risalenti agli anni trenta della sua storia (tradimento, secessione, etc). Morale: a parte Priebke e Kappler (poi fatto fuggire) gran parte dei crimini nazisti restano impuniti.
E i tedeschi di oggi al centro dell’Europa e gonfi di egemonia geoeconomica hanno gravi responsabilità al riguardo. Custodi del rigore come stigma etico della loro idea di Europa, riluttano nel punire i loro colpevoli e retrocedono agli anni 60, al silenzio su Auschwitz, rotto dai processi a Francoforte tra il 1963 e il 1968. Infatti, nonostante la fiammata generazionale del 1968, la consegna giuridica fu in seguito questa: non istruire processi e non pagare risarcimenti. Una ferita aperta. Inaccettabile. Che delegittima la Germania democratica di oggi a vantaggio di rancori e populismi. E ne mina a fondo l’immagine di architrave virtuosa del Continente.
da l’Unità