Si svolgerà oggi e domani un Consiglio europeo che si annuncia sotto molti aspetti decisivo, tanto sul fronte delle nomine ai vertici delle rinnovate istituzioni europee che sull’agenda delle cose da fare in Europa in vista del prossimo semestre a guida italiana. L’Italia, anche per l’entità della vittoria elettorale del Partito democratico, potrà giocarvi un ruolo assai importante.
Ma l’esito del Vertice è incerto e tuttora aperto.
Dopo lo choc del voto europeo del 25 maggio si è formata un’ampia convergenza sulla necessità che l’Europa fornisca risposte politiche nuove che siano all’altezza delle grandi sfide da fronteggiare, soprattutto sul terreno economico. La situazione della maggior parte delle economie dell’area euro, fatta salva la ritrovata stabilità dei mercati finanziari – un fatto certa- mente positivo – , continua a essere a dir poco preoccupante. La ripresa in corso è fragile e per il futuro si profila il rischio di un prolungato ristagno economico unito a una strisciante deflazione, che potrebbe durare per tutto il decennio in corso.
Sono pertanto necessari profondi cambiamenti nelle politiche di rigore finora adottate. Crescita e occupazione come si legge nella bozza di documento preparata in vista del Vertice europeo da Herman Van Rompuy devono diventare i due obiettivi chiave della nuova strategia europea. Ma sulle politiche da varare le posizioni dei paesi e delle maggiori forze politi- che in campo sono tuttora distanti.
Un po’ tutti si dichiarano a favore della necessità di riforme strutturali da portare avanti nei singoli paesi. Anzi là dove possibile andrebbero intensificate e accelerate. Ma ci rende conto che tali riforme di per sé non saranno sufficienti a rilanciare la crescita e, soprattutto, l’occupazione in Europa. Di qui una prima proposta avanzata dal Governo italiano sull’introduzione di una maggiore flessibilità nei tempi e modalità di attuazione delle regole del Patto di stabilità e crescita e del Fiscal compact, in modo da garantire una loro maggiore compatibilità con le esigenze di riforma dei singoli paesi. Si è già acceso un intenso dibattito a favore e contro tale proposta, con un ampio riflesso mediati- co, particolarmente animato in Germania. Ora non c’è dubbio che un’applicazione più flessibile delle regole degli accordi europei potrebbe rivelarsi di per sé assai utile, soprattutto per un paese a elevato debito come il nostro. Ma non bisogna sopravalutarne l’impatto economico, destinato a rivelarsi nel suo complesso molto limitato.
Assai più rilevante per il rilancio della crescita è sostenere il varo a livello europeo di politiche e interventi cosiddetti di sistema, che siano in grado di interessare la zona euro nel suo insieme e non solo i singoli paesi. È un dato difficilmente contestabile che siano state formulati poco e male in questi anni. Politiche di sistema servirebbero oggi per sostenere la domanda interna europea, la cui debolezza è la principale causa del ristagno dell’area euro. Si potrebbero attuare attraverso meccanismi di aggiustamento simmetrici tra paesi debitori e paesi creditori, che impongano a entrambi misure di aggiustamento tra loro complementari e compatibili. Ciò significherebbe, ad esempio, chiedere alla Germania impegni in favore di politiche di sostegno e rilancio della sua domanda interna, da cui potrebbero discendere effetti positivi per gran parte dei paesi dell’eurozona, a partire da quelli oggi più impegnati – come il nostro – in processi di risanamento dei conti pubblici. Non sarebbe necessaria alcuna revisione degli accordi, quanto la piena applicazione da parte della nuova Commissione delle regole in essi contenuti, a differenza di quanto avvenuto in passato.
Altre politiche di sistema andrebbero invocate per effettuare investimenti a me- dio e lungo termine, pubblici e privati, a livello europeo in tutta una serie di com- parti (energia, telecomunicazioni ricerca, digitalizzazione, educazione, mobilità sostenibile, e altre) che potrebbero rapidamente trasformarsi in nuovi motori della crescita sostenibile. L’impatto sarebbe assai rilevante sia sulla domanda sia sull’offerta produttiva dell’area euro nel suo insieme, purché il volume di investimenti superi una certa soglia e i tempi siano relativamente brevi. Il che comporta il reperimento di rilevanti risorse finanziarie a medio e lungo termine, pubbliche e private, per assicurare la loro copertura. Ma si pos- sono trovare a livello europeo e nazionale da varie fonti (Banca europea degli investimenti, project bond, bilancio comunitario), tenendo conto d’altra parte che mai come oggi le condizioni dei mercati finanziari sono state tanto favorevoli in termini di disponibilità e costo del denaro.
Ad alcune proposte avanzate nelle direzioni prima ricordate, anche da parte del Governo italiano, le prime reazioni, soprattutto in Germania, sono state a dir po- co eterogenee e volutamente ambigue. Ora non bisogna né esagerarne il significato – come fatto da alcuni – né sminuirlo – come fatto da altri. Bisogna in realtà esse- re consapevoli che le resistenze e gli ostacoli da superare a livello europeo per affermare una nuova strategia in favore della crescita e dell’occupazione saranno comunque numerosi e molto forti. Lo dimostra l’affossamento di analoghe proposte avanzate in passato come nel caso del ‘pia- no della crescita’ approvato su pressione dell’allora neo-eletto Presidente francese Francois Hollande al Consiglio europeo del giugno 2012 e poi rimasto lettera mor- ta. Lo shock del recente voto europeo ha comunque convinto molti che un cambia- mento in Europa sia comunque necessario, per assicurare un contesto in espansione in grado di rendere possibili e efficaci i ‘compiti a casa’ da svolgere per i singoli paesi. Ma bisogna far presto perché questa fase così favorevole a livello internazionale di abbondante liquidità e bassi tassi di interesse è destinata in 12-18 mesi a chiudersi. Poi sarà tutto più difficile.
L’Unità 26.06.14