L’incontro tra Pd e M5S porta tre novità nella politica italiana. Offre un’immagine meno decisionista e più dialogica ad un Pd che sembrava voler procedere nelle riforme con un passo da Blitzkrieg. Mostra un Movimento 5Stelle lontano anni luce dall’arroganza post-elezioni politiche . Modifica, in prospettiva, le dinamiche del sistema partitico, fin qui ingessato in una diarchia, a volte conflittuale, a volte consensuale, tra Pd e centro-destra.
Il Pd sta prendendo atto, giorno dopo giorno, del peso e della responsabilità conseguenti all’essere diventato il partito di gran lunga maggioritario del nostro Paese. Le pose eccessivamente assertive della leadership democratica dei primi tempi hanno lasciato posto ad una certa ponderatezza, frutto di una maggiore, autentica, sicurezza. L’obiettivo dei mille giorni, cioè di una governabilità di lungo periodo nel corso della quale realizzare il programma riformatore, conferma questo nuovo respiro del governo. Le stesse dichiarazioni di Matteo Renzi all’indomani delle elezioni europee avevano il tono grave di chi è consapevole che, con quel voto, le responsabilità crescevano di scala. Vale a dire che, dopo maggio, non ci sono più alibi: grava tutto sulle spalle del Pd. Agli onori elettorali corrispondono gli oneri del governare, o meglio, del ben governare. Da questa consapevolezza sono venuti la disponibilità all’incontro con il M5S nonostante le polemiche durissime di questi ultimi mesi e l’atteggiamento aperto e dialogico durante il vertice di ieri. Rispetto al prendere o lasciare di qualche tempo fa, (forse tattico per evitare di incagliarsi al proprio interno) sentire Renzi che, pur ponendo le sue condizioni, si dice disposto a discutere i punti avanzati dai pentastellati, il cambio di registro è indubbio (e positivo).
Ben altro cambio è quello del M5S. A sentirli ieri, sembrava passato un secolo dallo streaming con Pierluigi Bersani, per non dire degli insulti di Grillo a Renzi nell’incontro di rito per la formazione del governo. Il mancato sorpasso, e anzi la voragine apertasi tra i due partiti, ha fatto fare un bagno di realismo ai grillini. Nell’arco di poche settimane, non si sa però attraverso quale procedura deliberativa interna, la strategia dei 5Stelle ha cambiato verso. Dalla contrapposizione frontale al dialogo.
Il governo e il Pd non sono più l’immagine stessa del male, una banda di farabutti e malfattori da spazzar via perché origine e causa della crisi italiana, bensì interlocutori legittimati dal voto di una larga parte dell’elettorato. Questa inversione non può essere che benvenuta: finalmente un partito rilevante (tuttora nettamente secondo, con cinque punti di vantaggio su Forza Italia) rientra in gioco invece di limitarsi ad urlare
il proprio sdegno contro tutto e tutti. Rimane però un interrogativo. Ovvero: il M5S ha espresso e incanalato una rabbia sociale profonda che, inutile nasconderlo, ancora esiste anche se alle Europee si è un po’, ma solo un po’, attenuata. Le fortune elettorali dei grillini derivano proprio da questa loro capacità di incanalare la protesta, in quanto partito nuovo, vergine rispetto a malversazioni e scandali, e soprattuto “antagonista” al sistema. I 5Stelle hanno sfondato perché hanno sfumato le loro tradizionali tematiche ambientaliste e post-moderne facendo irrompere la protesta, molto più redditizia in termini di voti. Il passaggio alla fase costruttiva dopo tanta enfasi sulla distruzione non potrà non avere delle ripercussioni nel mondo pentastellato. Per molti, la contaminazione con «gli altri» verrà vista come un tradimento. E infine, dall’altra parte, la componente più ecologista e progressista continua a non digerire la scelta euroscettica del rapporto con Farage.
Ad ogni modo questo ingresso nella politica da parte del M5S modifica le dinamiche del sistema partitico. Fin qui vi erano due soli attori in gioco, il Pd e il centro-destra, con rapporti variamente intrecciati, di cooperazione su alcuni tavoli — quello governativo con il Ncd di Angelino Alfano e quello delle riforme con Forza Italia ed embrionalmente anche con la Lega — ma di opposizione su altri. Questa diarchia sghemba viene alterata dall’uscita dal ghetto dei grillini. Ora il sistema si articola su tre poli, nessuno dei quali escluso dal gioco politico. Vedremo chi trarrà maggior vantaggio dal nuovo assetto.
La Repubblica 26.06.14