«Mentre gran parte dell’opinione pubblica è incline a pensare che il trasferimento dei clan al Nord sia guidato dalle opportunità di impiego di capitali di provenienza illecita nella Borsa e nella finanza, da cui il primato di Milano come piazza finanziaria per eccellenza, in realtà la diffusione del fenomeno mafioso avviene soprattutto attraverso il fittissimo reticolo dei comuni di dimensioni minori, che vanno considerati nel loro insieme come il vero patrimonio attuale dei gruppi e degli interessi mafiosi». È la cronaca in presa diretta della colonizzazione del Nord della ’ndrangheta. Sembra la trama di un film di fantascienza sugli alieni che si impossessano della Terra, il primo rapporto trimestrale sulle aree settentrionali – che non lascia molte speranze – dell’Osservatorio Criminalità organizzata dell’Università degli studi di Milano, coordinato da Nando Dalla Chiesa, commissionato dalla Commissione Antimafia guidata da Rosy Bindi, che sarà presentato oggi a Torino.
Il lavoro di ricerca si basa su fonti sostanzialmente giudiziarie e istituzionali: il censimento dei beni confiscati; il numero delle «locali» (è la struttura intermedia che mette insieme diverse ’ndrine del territorio); il numero di omicidi.
Dunque indicatori molto selezionati e attendibili. Va detto subito che in vetta alla classifica della massima presenza mafiosa al primo posto c’è la provincia di Milano, seguita da Monza-Brianza, Torino e Imperia.
Perché la scelta dei piccoli comuni? «È soprattutto nei piccoli comuni – scrivono nel loro rapporto i ricercatori – che si costruisce la capacità di controllo del territorio, del condizionamento delle pubbliche amministrazioni, di conseguimento di posizioni di monopolio nei settori basilari dell’economia mafiosa, a partire dalla movimentazione terra. È nei piccoli comuni che è possibile costruire, grazie ai movimenti migratori, estese e solide reti di lealtà fondate sul vincolo di corregionalità o meglio di compaesanità, specie se rafforzano da vincoli di parentela di vario grado e natura».
Il rapporto è pieno di dati e statistiche. E anche di ricostruzioni storiche suggestive, interessantissime per chi non mastica la materia. Si divertono, i ricercatori, a mettere in risalto le piccole dimensioni dei comuni che hanno fatto la storia di questa colonizzazione aliena. Ha 3000 abitanti Buguggiate (Varese), che ospitò il primo boss calabrese del Dopoguerra, Giacomo Zagari. Aveva meno di 10.000 abitanti (oggi nei ha 27.000) Buccinasco (Milano) quando divenne «la Platì del Nord». E 7000 abitanti San Vittore Olona (Milano) dove si infiammò il sogno «secessionistico», finito tragicamente, di Carmelo Novella, ucciso nel 2008. E ancora 10.000 abitanti Sedriano, il primo Comune sciolto per mafia in Lombardia nel 2013 e 12.000 Rivarolo (Torino) sciolto per mafia nel 2012.
Scegliere i piccoli comuni è come partire dalla Kamchatka a Risiko per conquistare tutti gli eserciti. Mossa strategica vincente: «Per l’inesistenza o per la debole presenza di presidi delle forze dell’ordine; per il cono d’ombra protettivo steso sulle attività criminali per un interesse oggettivamente ridotto assegnato alle vicende dei comuni minori dalla grande stampa e dalla politica nazionale. E infine perché nei piccoli centri bastano poche preferenze per l’accesso alle amministrazioni locali».
Dunque il Nord. La Lombardia è la pecora nera: «Le ultime indagini giudiziarie hanno mostrato un sistema politico e istituzionale sempre più permeabile alle infiltrazioni delle organizzazioni mafiose e un’imprenditoria spesso omertosa, talvolta collusa». Il Piemonte «è una tra le regioni del Nord più penetrate, benché in forme e a livelli assai diseguali, dal fenomeno mafioso».
La Stampa 26.06.14