Finalmente una riforma popolare. Il governo francese vuole abolire i brutti voti. Secondo il ministro dell’Istruzione bisogna essere più «clementi» con i ragazzi, incentivarli anziché scoraggiarli. Ecco dunque che avanza l’idea del 6 politico. Tutti con la sufficienza. Un cambio di linea radicale per un sistema, come quello francese, che è centrato su pagelle severissime e medie aritmetiche per accedere alle migliori scuole, in una selezione durissima che comincia nelle
grandi città già per l’ingresso alle scuole medie proprio in base ai voti ottenuti alle elementari.
Il ministro dell’Istruzione, Benoit Hamon, ha annunciato ieri che sarà lanciata una grande consultazione di esperti per arrivare
a un metodo di valutazione più giusto. L’esito ancora non è chiarissimo: il nuovo sistema probabilmente sostituirà i “numeri in pagella” con un nuovo criterio di formulazione dei giudizi, ma anche se sarà mantenuto l’istituto della bocciatura, quel che si annuncia è una rivoluzione. Perché nel paese dell’ egalité il divario tra buoni e cattivi alunni è tra i più forti del mondo occidentale, senza però che questa severità si traduca in risultati sull’apprendimento. La Francia perde infatti posizioni nella classifica Pisa dell’Ocse e un quinto degli alunni che arrivano in prima media non padroneggiano l’ortografia. Più di metà degli alunni (57%) è stato bocciato almeno una volta e ogni anno 130mila ragazzi abbandonano il sistema scolastico, senza diploma né altri titoli di formazione. Un fallimento clamoroso per la République che ha istituito la scuola laica e dell’obbligo già alla fine dell’Ottocento con il famoso ministro Jules Ferry.
«Dobbiamo abbandonare l’ideologia del voto» dice Benoit Hamon. Il titolare del dicastero ha deciso di aprire un dibattito «senza tabù» su uno dei dogmi più forti del paese, tanto che in passato alcuni studiosi hanno citato il metodo sanzionatorio negli istituti francesi tra le possibili motivazioni del proverbiale malumore dei cugini d’Oltralpe. In Francia i voti si calcolano su un massimo di 20, ma anche la sufficienza (10) è considerata come un “brutto voto”, mentre chi ottiene 15 o 16 viene spesso poco valorizzato. La mania delle graduatorie è propedeutica a un modello scolastico in cui molto presto si va formando un’élite di giovani che dovrebbe poi integrare, dopo la maturità, le Classes Préparatoires e le Grandes Ecoles come l’Ena. Anche in questo caso, le candidature ai concorsi post-diploma si basano sui voti al Baccalauréat, in una sfrenata competizione tra alunni.
«È un modello per happy few che non ha più senso nella realtà di d’oggi», commenta il giornalista britannico Peter Gumbl che, dopo aver insegnato brevemente a Sciences Po, ha pubblicato un pamphlet contro il sistema francese, On achève bien nos écoliers , ovvero come uccidere gli alunni a colpi di umiliazioni e mortificazioni continue dei maestri. Nel mondo accademico anglosassone, spiega Gumbl, per la valutazione complessiva di un alunno contano anche esperienze formative di altro tipo, l’attitudine al lavoro in gruppo, l’emancipazione e l’espressione della propria personalità. Senza contare, aggiunge l’autore, che i giovani vengono spinti a prendersi un “gap year” dopo la maturità per conoscere se stessi e sviluppare la curiosità.
Il voto, insomma, non può essere l’unico parametro. In Gran Bretagna, molti studi hanno dimostrato che i giudizi costruttivi sono più utili che un numero in pagella. L’idea di paragonare alunni tra di loro non aiuta a migliorarli ma anzi li convince di non essere all’altezza. I giudizi, hanno spiegato gli studiosi inglesi, dovrebbero essere fatti usando come metro di paragone l’evoluzione didattica, rispetto a sforzi e limiti, e non mettendo i ragazzi in competizione con gli altri.
«L’istruzione in Francia ha sempre insistito sullo sviluppo
della ragione, inseguendo un ideale unico della cultura», ricorda Philippe Meirieu, autore di un Manifesto per il «piacere di imparare », pubblicato qualche mese fa. Professore in scienze dell’Educazione a Lione, esperto in pedagogia, Meirieu è convinto che bisogna superare le attuali rigidità del sistema. «La scuola continua a imporre una norma. I nostri modi di controllare e valutare scoraggiano la creatività, l’impegno personale dell’alunno». I ragazzi partecipano poco alle lezioni, temono di fare domande o di essere criticati se dicono qualcosa di sbagliato. Un sistema che promuove il conformismo e non incentiva la curiosità intellettuale, l’iniziativa personale. La classe, continua Meirieu, dovrebbe essere uno spazio senza minacce in cui non si ha paura di sbagliare o di rischiare.
Il modello di riferimento per chi si batte per il 6 politico è la Finlandia, dove vige “l’auto-valutazione”. Il paese nordico non impone griglie numeriche fisse e lascia invece libertà ai professori che devono seguire un unico principio: incoraggiare gli alunni. Molto presto, i bambini cominciano a capire da soli dove e come possono migliorarsi rispetto agli obiettivi didattici fissati dal governo. Esistono solo due pagelle durante l’anno, senza voti ma con giudizi che sottolineano gli apprendimenti già effettuati e descrivono i progressi ancora da fare.
I voti compaiono solo al sesto anno del ciclo scolastico, su un massimo di 10.
Qualche anno fa, alcuni intellettuali francesi avevano firmato un appello per importare il sistema finlandese, criticando «l’ossessione » per le graduatorie della République. «Un meccanismo che impedisce di far crescere la fiducia in se stessi, favorendo una piccola élite ed escludendo invece la maggioranza degli alunni», è scritto nell’appello firmato, tra gli altri, dallo psicologo Boris Cyrulnik e dallo scrittore-professore Daniel Pennac.
La proposta del governo socialista ora riapre il dibattito. Entro dicembre, il ministero dell’Istruzione spera di ottenere un “consenso” su un sistema di voti più indulgente. Le prime reazioni sono state positive. «Il fatto che se ne discuta è già una conquista», ha commentato Frédérique Rollet, rappresentante del sindacato degli insegnanti che auspica anche una semplificazione dei parametri. Secondo le attuali regole, ci sono diversi sistemi di valutazione tra medie e liceo che complicano ulteriormente il compito dei maestri. Molte associazioni di genitori fanno l’esempio di alcune scuole sperimentali, a Parigi e nel resto della Francia, che hanno felicemente abbandonato i voti. È una piccola avanguardia. Ma forse è da qui che la Francia può fare la sua nuova rivoluzione.
La Repubblica 25.06.14