Niente più obiezione di coscienza nei consultori familiari per la prescrizione della pillola del giorno dopo, per la attestazione di gravidanza, per la certificazione della richiesta di interruzione di gravidanza volontaria e per l’inserimento della spirale. È una rivoluzione destinata a far discutere quella varata dalla Regione Lazio nel decreto del commissario ad acta, il governatore Nicola Zingaretti, «Linee di indirizzo regionali per le attività dei Consultori Familiari» dello scorso 12 maggio. Si legge infatti nell’allegato 1 del decreto: «In merito all’esercizio dell’obiezione di coscienza fra i medici ginecologi, che dati recenti pongono a 69,3% in Italia (Relazione Ministeriale sullo Stato di attuazione della Legge 194/78 anni 2011-2012, Commissione Affari Sociali – XVII Legislatura – Esame della Relazione sullo stato di attuazione della Legge 194/78 2011-2012), si ribadisce come questa riguardi l’attività degli operatori impegnati esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza. Al riguardo, si sottolinea che il personale operante nel Consultorio Familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta inoltrata dalla donna di effettuare interruzione volontaria di gravidanza. Per analogo motivo, il personale operante nel Consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all’applicazione di sistemi contraccettivi meccanici, vedi I.U.D. (lntra Uterine Devices)». Gli obiettori di coscienza, quindi, non potranno più rifiutarsi di prescrivere la pillola del giorno dopo (contraccettivo ormonale post-coitale) né di inserire la spirale.
Ma c’è di più, stando almeno alla segnalazione dell’associazione Onlus «Vita di Donna» per la tutela della salute femminile. La legge 194, infatti, prevede che la donna che vuole abortire debba parlarne con un medico che esamini con lei i motivi della decisione, le rilasci un certificato che attesti la sua richiesta e l’esame effettuato insieme dei motivi per potersi poi recare in una struttura autorizzata per richiedere l’aborto. «Ma la legge 194 consente ai medici obiettori di non partecipare a questa attività – spiegano i responsabili di «Vita di donna» – La Regione Lazio introduce invece il principio che questi medici, qualora siano in servizio presso i consultori familiari, non possano sottrarsi a questa incombenza». Un contrasto, quello fra legge 194 e decreto del commissario ad acta, che secondo alcuni pareri potrebbe aprire un importante contenzioso giuridico.
Di certo, la decisione di Zingaretti rappresenta una novità assoluta che potrebbe segnare la strada ad iniziative analoghe in tutta Italia. L’unico precedente in qualche modo assimilabile almeno nei fini, infatti, risale al marzo del 2010 quando il presidente della Puglia cercò con una delibera di autorizzare i consultori familiari a selezionare per l’assunzione solo medici non obiettori.
«A nostra memoria, nessun governatore, anche delle Regioni guidate da amministrazioni di centro sinistra, è riuscito a ribadire con tanta forza il diritto delle donne ad essere assistite per la documentazione necessaria per l’aborto nei consultori familiari – prosegue «Vita di donna» – L’obiezione deve essere ammessa, contrariamente a quanto la legge prescrive, solo per le procedure “attive” dell’interruzione volontaria di gravidanza. Se un ginecologo del Lazio lavora in un consultorio familiare è tenuto, anche se obiettore, ad effettuare il colloquio con la donna e a rilasciarne il relativo documento. Bravo Zingaretti». Soddisfatta per la decisione del presidente della Regione anche Filomena Gallo, segretario nazionale dell’Associazione Luca Coscioni per la libertà di ricerca scientifica. «Non ritengo che in questo decreto ci sia conflitto con la legge 194 – spiega – è una sorta di pugno duro ma è un atto dovuto dopo alcuni drammatici fatti di cronaca degli ultimi mesi. Nel Lazio c’è una situazione molto particolare con un gran numero di obiettori, e questo potrebbe generare di fatto una sorta di interruzione di servizio. Occorre garantire il diritto all’obiezione di coscienza ma al tempo stesso va difeso il diritto delle donne di scegliere di ricorrere all’interruzione di gravidanza o ai contraccettivi ormonali se le condizioni lo richiedono. Del resto, su questo punto, anche l’Aifa ha chiarito che la pillola del giorno dopo è un medicinale contraccettivo e non abortivo. Credo che la scelta del presidente Zingaretti vada nella giusta direzione ».
L’Unità 24.06.14
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Scelta corretta, ora anche le altre Regioni la seguano
di Maria Elisa D’Amico
Professore ordinario in Diritto Costituzionale, Direttore della Sezione di Diritto Costituzionale Dipartimento di Diritto pubblico italiano e sovranazionale dell’Università degli Studi di Milano
TROVO CHE IL DECRETO DEL PRESIDENTE ZINGARETTI SIA DEL TUTTO CORRETTO e in linea con il contenuto dell’art. 9 della legge n. 194 del 1978, che garantisce l’obiezione di coscienza ai medici, limitatamente al momento dell’interruzione della gravidanza, entro limiti rigorosi e che assegna alle stesse Regioni il compito di assicurare l’erogazione della prestazione anche attraverso la mobilità del personale. Negli anni un’applicazione illegittima di questo diritto ha portato non soltanto a un numero eccessivo di medici obiettori, ma anche a una pratica che estende il diritto a momenti ulteriori, come appunto quelli dell’attività all’interno dei consultori, o degli stessi farmacisti. Nel decreto non si fa che ribadire quanto la legge prescrive, una legge, va ricordato, che la Corte costituzionale ha definito «a contenuto costituzionalmente vincolato» (sent. n. 35 del 1997), in quanto fondata sulla tutela dell’autodeterminazione e della salute della donna.
Va ricordato che l’Italia è stata condannata dall’Europa proprio in relazione alle modalità di applicazione dell’art. 9 della legge 194 e il provvedimento regionale trova una propria giustificazione anche in ottemperanza a tale condanna. Si tratta della pronuncia del Comitato europeo dei diritti sociali del Consiglio d’Europa, il quale, a seguito di un reclamo collettivo dell’associazione non governativa «International Planned Parenthood Federation European Network», ha rilevato una violazione dell’art. 11 della Carta sociale, affermando che l’Italia viola i diritti delle donne che alle condizioni prescritte dalla legge 194 del 1978 intendono interrompere la gravidanza, a causa del crescente ed elevato numero di obiettori di coscienza. La decisione è stata resa nota nel marzo di quest’anno e da quel momento le istituzioni italiane devono dimostrare, anche attraverso gli annuali rapporti europei, di aver messo in atto tutte le misure utili per modificare questa situazione. Da questo punto di vista, anche pensando che la pronuncia del comitato europeo concorre a definire quei principi internazionali ed europei che, ai sensi dell’art 117, comma 1, Cost., vincolano il legislatore italiano, ritengo che il decreto del Presidente Zingaretti apra una strada utile per modificare una situazione profondamente lesiva dei principi costituzionali e soprattutto della dignità delle donne e degli stessi medici non obiettori.
Ricordo infine che proprio a garanzia del diritto del lavoro dei medici non obiettori, nonché della salute delle donne, pende un reclamo sollevato dalla Cgil nazionale, in relazione al modo in cui l’obiezione di coscienza viene praticata, paralizzando di fatto l’applicazione delle legge: attendiamo anche su questo una pronuncia di condanna dell’Italia. Nel frattempo sarebbe utile se anche altre Regioni seguissero la strada aperta dal Lazio.
L’Unità 24.06.14