Dopo i fatidici cento giorni dall’insediamento di un nuovo governo solitamente viene misurato il giudizio dei cittadini sul suo operato.
L’opinione pubblica è molto divisa in proposito. I giudizi positivi prevalgono su quelli negativi riguardo alla riduzione della burocrazia e della spesa pubblica (53% contro 45%), al contenimento dei costi della politica (51% contro 45%) nonché alle riforme costituzionali e alla nuova legge elettorale, sia pure di poco (49% contro 45%). Al contrario prevalgono i giudizi negativi relativamente al contrasto della disoccupazione (i critici sono il 55%, mentre il 42% apprezza quanto realizzato finora) e alla diminuzione della pressione fiscale (58% negativi contro 40% positivi).
Tra gli elettori del Pd, com’era lecito attendersi, le opinioni sono nettamente più favorevoli, con l’eccezione della riduzione delle tasse che vede una polarizzazione dei giudizi. Prevale il segno negativo invece tra gli elettori di Forza Italia e, più marcatamente, del M5s.
Nel complesso il 37% degli italiani ritiene che il governo abbia mantenuto del tutto o in larga misura gli impegni assunti, il 45% pensa che abbia rispettato le promesse solo in minima parte e il 17% è del parere che non le abbia rispettate per nulla. Eppure l’apprezzamento dell’operato di Matteo Renzi si mantiene su livelli molto elevati e trasversali: il 69% esprime un giudizio molto o abbastanza positivo. Il premier è apprezzato da oltre il 90% degli elettori del Pd, da quattro quinti di quelli centristi (80%), da circa tre quarti di quelli di FI (72%) e perfino dalla maggioranza assoluta dei grillini (59%) e degli astensionisti (60%).
Come si spiega questa contraddizione tra l’elevato gradimento del premier e i giudizi non del tutto positivi, quando non esplicitamente critici, nei confronti dell’azione del governo? Da tempo, infatti, i cittadini sono sempre più critici e disillusi, pragmatici, impazienti di verificare i fatti e severi nel giudicare i risultati dell’esecutivo. Eppure non fanno venir meno il sostegno a Renzi.
Ricondurre tutto alla sua conclamata capacità di comunicare appare riduttivo, anche se il linguaggio spigliato e la battuta pronta lo aiutano molto e lo fanno apparire diverso dai politici più paludati e tradizionali, accentuando la distanza tra vecchio e nuovo. Ma la comunicazione non è tutto e la sua efficacia non dipende solo da «come» comunicare, ma da «cosa» comunicare. In tal senso Renzi appare dotato di una non comune capacità di sintonizzarsi con il Paese, «fiutando l’aria», cogliendo il comune sentire, individuando i temi e i toni a cui i cittadini sono più sensibili.
A ciò si aggiunge la grande determinazione e l’assunzione in prima persona della responsabilità del cambiamento. Non a caso una delle sue espressioni più riuscite è «metterci la faccia».
Un ultimo aspetto, non meno importante, riguarda il tipo di relazione che Renzi ha instaurato con i cittadini: è una relazione immediata, cioè non mediata, diretta. Abitualmente quando si utilizza il termine «disintermediazione» si fa riferimento agli atteggiamenti svalutativi espressi da molti cittadini nei confronti dei partiti, delle istituzioni di rappresentanza e di molti dei corpi intermedi della società che, pertanto, appaiono screditati e «delegittimati». Vengono messi in discussione «dal basso». In realtà Renzi sembra adottare lo stesso atteggiamento ma calato «dall’alto».
Emblematico risulta in tal senso il discorso pronunciato al Senato nel giorno dell’insediamento del governo, quando si ha avuto la netta impressione che quanto stava dicendo fosse rivolto non tanto ai senatori in aula ma ai cittadini; e quando mette in soffitta la concertazione e risulta disinteressato al coinvolgimento dei sindacati o delle associazioni imprenditoriali nei processi decisionali mostra di privilegiare la relazione diretta con gli elettori ed è solito utilizzare un’altra espressione-simbolo a fronte del comprensibile risentimento degli esclusi: «se ne faranno una ragione».
La forte empatia con i cittadini sembra metterlo al riparo da possibili rischi di impopolarità. Se le riforme procedono a rilento e il Paese fatica a cambiare, se il Pil stenta a crescere e la disoccupazione a calare, secondo i suoi sostenitori la responsabilità è della burocrazia, di chi si oppone per difendere i propri privilegi o della «palude» rappresentata dalla vecchia politica.
Ed è largamente diffusa la convinzione apocalittica che Renzi rappresenti l’ultima spiaggia per l’Italia e un suo eventuale fallimento determinerebbe il fallimento del Paese. Se il premier incarna l’idea di cambiamento è probabile che la luna di miele con i cittadini sia destinata a durare a lungo, anche in presenza di risultati più modesti di quelli auspicati.
Il Corriere della Sera 22.06.14