Quando Bill Gates e sua moglie Melinda sono saliti sul podio dell’università di Stanford per pronunciare il tradizionale discorso ai neolaureati, qualche giorno fa, indossavano occhialoni da vista tenuti insieme con il nastro isolante come gli indimenticati protagonisti del film degli anni 80 La rivincita dei nerds . E, giocando con l’imperitura reputazione da imbranato di Bill, i due si sono dichiarati con orgoglio membri della «Nerd Nation», la comunità stanfordiana degli studenti secchioni. Foto immediatamente virale condivisa sui social network (hashtag: #nerdnation ) come di solito capita a quelle delle celebrities della tv-verità più che a quelle di un gigante della tecnologia ora diventato filantropo a tempo pieno, ultimo e più recente esempio della prevalenza dell’uomo di pensiero e del fascino che il cervello esercita in modo sempre più pressante.
Il fascino del cervello si traduce nel trionfo delle neuroscienze, che sembrano essere diventate la chiave di una serie sempre più nutrita di discipline. Gli esempi più recenti vanno dal marketing (le confezioni dei prodotti, specialmente quelli alimentari, sono disegnate in base ai dettami delle neuroscienze per renderle più appetibili, scrive Adweek ) alla filosofia (il Mit sta cercando il neurone del libero arbitrio; e anche i topi, non solo gli umani, provano rimpianti, racconta Nature ). Gabriel Kreiman, il professore del Mit che lavora sul libero arbitrio, ha raccontato con serenità alla rivista dell’università che «ho una teoria in qualche modo estrema: che non c’è nulla di realmente libero nel libero arbitrio».
Dall’indagine del professor Kreiman (una volta era tema filosofico, vedi Cartesio) si arriva fino alla cultura pop: con lunghe analisi nelle sezioni di spettacoli di riviste e siti dedicate a come le neuroscienze riescano a spiegare il comportamento dei personaggi dei libri e del telefilm della serie «Il trono di spade», o dei film di Stanley Kubrick.
Utilizzano le neuroscienze gli uffici del personale delle aziende americane che hanno appreso come il cervello umano funzioni al massimo in brevi periodi di attività intensa che vanno interrotti da pause regolari secondo una particolare scansione (è interessante notare che la giornata lavorativa di otto ore venne resa canonica da Henry Ford: non aveva ancora le neuroscienze a disposizione, ma commissionò studi che mostravano come dopo otto ore i lavoratori cominciassero a commettere molti più errori, per stanchezza, facendo più danni che altro).
Usa le neuroscienze ( probabilmente è stato il primo, i progetti erano top secret in passato) il Pentagono che investe decine di milioni di dollari sui futuribili «brain implants» che potranno controllare il funzionamento del cervello con l’obiettivo dichiarato di aiutare i veterani con problemi di salute mentale (chi ha letto le recenti rivelazioni di Edward Snowden sul modus operandi delle agenzie di sicurezza americane è autorizzato a accogliere questa notizia con una certa preoccupazione; chi ha visto il vecchio film Vai e uccidi con Frank Sinatra si preoccuperà ancor di più). D’altronde Francis Crick, uno degli scopritori della struttura del Dna con James Watson e Rosalind Franklin, suggerì già 40 anni fa che i neuroscienziati avrebbero fatto bene a indagare su come fare a prendere il controllo di specifiche cellule del cervello.
Futuri scenari bellici a parte, Roger Dooley, autore di «Brainfluence», ha articolato la sua visione «neuromarketing» e sottolinea che «il 95 per cento dei nostri pensieri, delle nostre emozioni e del nostro apprendimento succede quando non ce ne rendiamo conto». Questo trionfo dello studio del subconscio applicato alla vendita di alimentari fa sì che perfino Dooley, che vi ha costruito una carriera redditizia di autore conferenziere, ammetta che «i consumatori continuano a ritenere questo argomento piuttosto inquietante».
Il professor Leonard Mlodinow, l’unico fisico teoretico che da Berkeley e dalla Fondazione Max Planck ha nel curriculum sia escursioni da sceneggiatore hollywoodiano (i telefilm «Macgyver» e «Star Trek Next Generation») sia collaborazioni con Stephen Hawking, ha usato una citazione di Jung sulle «radici quasi invisibili dei nostri pensieri» per cominciare il suo best seller «Subliminal», che torna a occupare militarmente il campo dell’inconscio lasciato da quasi un secolo agli psicologi. Il motivo? La nostra reazione agli stimoli subliminali «è un dono dell’evoluzione. Di importanza cruciale per la nostra sopravvivenza come specie».
Pubblicato il 21 Giugno 2014