Quando i commissari d’esame hanno aperto le buste con i temi mi sono reso conto che il rammendo delle periferie è entrato nella coscienza collettiva. Che dire? Sono l’architetto e senatore più felice del mondo. Quello che intendo come ruolo di senatore a vita è questo: risvegliare le coscienze, soprattutto quelle dei giovani che in questi giorni affrontano la maturità. A loro va il mio più sincero in bocca al lupo, visto che per scaramanzia gli auguri non si fanno. Quello che è importante nella mia veste di senatore, che non può essere diversa da quella di architetto, è piantare dei semi nell’immaginario dei giovani e non solo. Il mio contributo è parlare e lavorare sulle periferie che sono la città del futuro così come sulle scuole che oggi accolgono gli italiani di domani. In questo terreno si piantano i semi ed è importante che sia coltivato, fertile e ben irrigato.
Sono certo che i semi germoglieranno perché i nostri giovani sono straordinari, eredi di una cultura che non ha pari. E lo dice uno che ha lavorato in tutti gli angoli del mondo. Penso che sia fondamentale che in Senato siedano persone che portino energia civica. Scienziati, ricercatori, musicisti, inventori, esploratori: il tesoro del nostro Paese è soprattutto nella cultura, che è alimentata dalla bellezza e dall’amore per la scienza. Sono convinto che la bellezza salverà il mondo, magari salvando una persona per volta, ma lo salverà. Non sono argomenti astratti: all’inizio del secolo scorso furono i senatori scienziati, che provenivano dal mondo del lavoro, a sconfiggere la piaga della malaria in Italia. Come fa l’Italia a guardare lontano senza la cultura, la nostra vera forza? Credo sia essenziale avere in Senato persone che rappresentino il nostro Paese sotto questo aspetto. Anche oggi c’è chi, come me, si occupa di trasformare le periferie in pezzi di città felice e chi di denunciare le truffe di Stamina. Penso che questa sia la strada giusta, chiamiamole competenze o se preferite cultura. Nel mio progetto di rammendo delle periferie sono infatti centrali le scuole, che sono la fabbrica della nostra cultura. Una cultura non nozionistica ma vera, fatta di ricerca, conoscenza, sapere e curiosità. Questa ci appartiene e il suo luogo di riferimento nel mondo è l’Europa, e all’interno dell’Europa è il Paese dove viviamo. Noi italiani siamo come dei nani sulle spalle di un gigante, tutti. E il gigante è la cultura, una cultura antica che ci ha regalato la capacità di cogliere la complessità delle cose. Si tratta di un capitale enorme che va conservato e alimentato. Un compito che spetta alla scuola che deve essere un luogo d’aggregazione, una piazza dove ci si incontra e confronta, una sorta di casa di quartiere dove i ragazzi imparano e insieme imparano anche i genitori. Un edificio permeabile alla città, con un continuo scambio tra dentro e fuori. Abbiamo una tradizione educativa che parte da Maria Montessori per arrivare a Mario Lodi e Loris Malaguzzi, passando per la scuola di Barbiana. Spesso ce ne dimentichiamo mentre all’estero ci copiano: in Italia ci sono 137 scuole con il metodo Montessori, negli Usa oltre 5.000 e in Germania 1.600. Eppure l’abbiamo inventata qui. Il problema delle scuole è un problema di mancanza di cura, di incuria e menefreghismo. Il contrario del motto “I care” che don Lorenzo Milani aveva scritto su una parete di un’aula di Barbiana: me ne importa, mi sta a cuore. L’opposto esatto del “me ne frego” fascista. La scuola deve essere vissuta come la propria casa e non come un luogo percepito estraneo e lontano, certo non si può pretendere di accendere la scintilla del senso civico nei ragazzi se gli edifici sono abbandonati al degrado e, magari, anche i luoghi destinati al gioco e ai laboratori sono inagibili. Ci vuole un cambio di mentalità che parta dallo Stato, poi il resto viene di conseguenza se un luogo diventa vissuto e amato. In Giappone nelle scuole elementari e medie sono gli scolari a occuparsi delle pulizie dei locali. Ma c’è innanzitutto bisogno di una grande opera di rammendo e consolidamento delle scuole, con cantieri leggeri e poco invasivi che non obblighino a deportare i bambini in altre strutture. Un rammendo che deve anche essere un’occasione per ripensare quali siano gli spazi più adatti all’educazione dei ragazzi. Parlo di tetti trasformati in osservatori astronomici e arricchiti di orti dove coltivare gli ortaggi per la mensa, di un piano terra che diventa una casa aperta ai genitori, ai nonni, ai pensionati che vogliono contribuire con la loro esperienza. Penso a palestre ma anche a spazi dove fare teatro, suonare e ascoltare la musica, a laboratori, biblioteche e sale vuote dove semplicemente si possa pensare. Perché anche il silenzio e la solitudine fanno parte dell’educazione.
Il sole 24 Ore 19.06.14