Non pensi Beppe Grillo di intimidirci. Altri prima di lui si sono augurati la morte de l’Unità. Altri prima di lui hanno detto che la scomparsa dei giornali è “un’ottima notizia”. Altri come lui hanno puntato il dito contro singoli giornalisti, cercando di aizzare l’odio degli adepti. «Qualunque persona abbia ancora un briciolo di onore dovrà fare molta attenzione prima di scegliere la professione di giornalista» è una frase celebre del nazista Goebbels.
Grillo, comunque, può stare sereno: noi continueremo sulla nostra strada. L’Unità andrà avanti dopo 90 anni di storia, e speriamo che abbia presto un nuovo inizio. Noi pensiamo che la democrazia si fondi sul pluralismo, sul confronto tra idee diverse, sulla lotta politica (che non esclude la costruzione di regole e valori condivisi). Noi restiamo convinti che il giornalismo e la libertà si alimentino a vicenda, che chi scrive deve per forza scomodare qualcuno, deve dire cose che non piacciono a tutti, deve rischiare la propria parzialità per tentare di raggiungere una verità.
I giornali, come le idee, sono preziosi. E talvolta quando sono fragili sono ancora più preziosi. Nella storia chi ha disprezzato i giornali, ha contrastato la democrazia con ideologie autoritarie e con la violenza. Questo principio vale tuttora. Anche se il mercato dell’editoria è diventato assai più complicato, anche se quella di Internet è una rivoluzione nelle comunicazioni, la più travolgente dopo l’invenzione di Gutenberg. La Rete è una grandissima opportunità, ma non è vero che di per sé è in grado di assicurare un più elevato grado di democrazia, di partecipazione, di potere diffuso. Il pluralismo, la libera circolazione delle idee, i diritti delle minoranze sono problemi oggi più aperti di ieri. Il pluralismo va alimentato, curato, rafforzato. Ovviamente evitando di favorire consorterie e rendite di posizione. Ma la democrazia non è sottomissione al «mercato». Al contrario, la democrazia è ricostruire opportunità nonostante gli squilibri che provoca il mercato. È singolare che, per giustificare il proprio impulso di sopprimere un giornale a lui scomodo, Grillo faccia ricorso al tribunale inappellabile del mercato. E non si chieda se i giornali di idee abbiano le stesse possibilità di accesso alla pubblicità, se abbiano le stesse risorse dei grandi gruppi editoriali per realizzare quei cambiamenti tecnologici e strutturali che la competizione impone. Grillo denuncia i finanziamenti diretti (peraltro l’Italia è il Paese più avaro d’Europa, e non di poco), ma dimentica o finge di non conoscere che ci sono finanziamenti indiretti e che le disparità anche nel mercato dell’editoria tendono a crescere.
Verrebbe da dire che, per le idee che ieri ha manifestato nel suo blog, auspicando la morte del nostro giornale, la collocazione a Strasburgo nel gruppo di estrema destra con Farage e con altri sette-otto impresentabili è ora forse più spiegabile. Grillo, e il suo socio Casaleggio, sono andati dove li ha portati il cuore. In quel gruppo, non ci sono solo i sentimenti xenofobi dell’Ukip inglese: ci sono anche due deputati lituani del Tt, Ordine e giustizia, il partito dell’ex presidente Paksas, destituito per traffici con la mafia russa. Del Tt il terrorista norvegese Breivik, autore della spaventosa strage di ragazzi a Utoya, ha detto che è «uno dei partiti più rispettabili d’Europa». Stiano attenti i grillini: non pensino di lavarsi la coscienza dicendo che quel gruppo è per loro un taxi, il solo sgangherato taxi che ha avuto la pietà di farli salire a bordo. La politica italiana oggi si fa anche a Bruxelles e Strasburgo. E la collocazione nell’estrema destra non sarà irrilevante per il loro percorso futuro, anche se talvolta si prenderanno la libertà di qualche dissenso.
L’Unità vive un momento difficile. Ma la solidarietà che abbiamo ricevuto in questi giorni, e le espressioni di affetto, di vicinanza, di condivisione che ieri sono giunte in redazione con ogni mezzo dopo le vergognose parole di Grillo, ci incoraggiano a proseguire nella nostra battaglia. Dobbiamo innovare, migliorarci. C’è però un grande spazio di buon giornalismo, c’è spazio per le idee di una sinistra democratica e moderna, c’è spazio per chi pensa che l’Italia possa farcela ad uscire dal pantano. E c’è una speranza di cambiamento nel Paese che va alimentata, riempita di contenuti, seguita con passione e anche con la critica. Non abbiamo mai pensato che Grillo sia un fascista perché abusa di un linguaggio violento, sprezzante, carico di auspici di morte. Far roteare il suo manganello sul blog, o nei comizi, è la tecnica che ha usato per catalizzare la sfiducia e la rabbia diffusa nella società della crisi. A parte i tratti originali italiani, non si può non vedere che altri Grillo in altri Paesi europei hanno fatto qualcosa di analogo. Ma neppure Grillo può sottovalutare le conseguenze del suo linguaggio di odio. Le parole possono diventare pietre. E quando accade non si torna più indietro. Avevamo sperato che la sua apertura al dialogo sulle riforme potesse aprire un percorso nuovo. In fondo, fare una proposta concreta e sedersi al tavolo, vuole dire accettare che anche gli altri hanno punti di vista che meritano considerazione. Il nodo è qui. Se Grillo e Casaleggio pensano che la verità sia tutta loro, e che la democrazia si materializzerà solo il giorno in cui avranno il 51 (o il 100%) dei consensi, allora non c’è nulla da fare. E non raccontino la balla che la loro democrazia vale di più perché hanno una rete – la loro rete – da manipolare. La democrazia costituzionale è un discrimine che non accetteremo mai di varcare.
L’Unità 19.06.14