C’è chi evoca l’Ungheria, dove a dicembre 2011 fu adottata la nuova Costituzione che falciava di tre anni (dal 2015 al 2012) il mandato del presidente della Corte suprema, sgradito al governo, Andras Baka (che però ha presentato ricorso alla Corte di Strasburgo e ha vinto); chi ricorda che con l’unificazione tedesca tutti i giudici della DDR furono mandati a casa perché la loro cultura giuridica era incompatibile con l’economia di mercato e chi vede nell’«eliminazione di cinque generazioni di magistrati» nonché nell’avvicinamento alla pensione delle «battagliere generazioni degli anni 60-70» (formatesi alla scuola di Rodotà, Zagrebelsky, Ferrajoli) qualcosa di più di una semplice operazione di ricambio generazionale. C’è infine chi mette l’accento sull’incostituzionalità di una «rottamazione» che, con un tratto di penna, manda casa dall’oggi al domani 450 toghe ma soprattutto discrimina tra colonnelli e soldati semplici, prevedendo una minima gradualità per i primi (lasciati in servizio fino a tutto il 2015) e invece l’accetta per i secondi (costretti ad andarsene a ottobre). Certo è che non bisogna scomodare né la storia né la dietrologia né la Costituzione per vedere i rischi che la decisione del governo di prepensionare le toghe (da 75 a 70 anni) avrà sulla funzionalità del sistema giudiziario e sull’andamento dei processi in corso.
Il decreto legge con il taglio dell’età pensionabile dei magistrati è ora al Quirinale. Il testo, però, è ancora provvisorio e alcune parti potrebbero essere ritoccate. È ad esempio ballerina la norma voluta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando per un concorso aperto anche ai semplici laureati in legge, così da compensare l’esodo con l’ingresso massiccio di toghe ben più giovani di quelle che dal 2006 entrano in magistratura. Ma anche la disciplina transitoria potrebbe essere rivista: se infatti è largamente condivisa la riduzione dell’età pensionabile a 70 anni (era stato Silvio Berlusconi a portarla a 75 per ingraziarsi, ma senza riuscirci, l’allora primo presidente della Cassazione Nicola Marvulli), a suscitare critiche è la scelta dei tempi – immediati – per estromettere gli “anziani” dalla magistratura (ottobre 2014), salvo la deroga per i capi degli uffici (dicembre 2015): scelte in odore di incostituzionalità alla luce della sentenza n. 83 del 2013 con cui la Consulta bocciò la riduzione immediata di 2 anni dell’età pensionabile dei professori universitari laddove una «gradualità» dell’esodo consentirebbe, tra l’altro, di gestire meglio i vuoti di organico e quindi la funzionalità del servizio. Su 9410 magistrati, infatti, solo 8465 sono presenti negli uffici e l’esodo di 450 in un anno e mezzo non sarà rimpiazzato negli stessi tempi, considerata la lunga durata del reclutamento di nuove leve. Perciò il governo pensava a un maxiconcorso aperto ai laureati, ipotesi che preoccupa per il rischio di una caduta del livello culturale della magistratura. E ancora di più preoccupa l’ipotesi di un reclutamento straordinario di avvocati e professori universitari. Incostituzionale appare anche la deroga per i capi degli uffici, poiché i magistrati «si distinguono solo per diversità di funzioni».
L’esodo riguarda toghe di primo piano come, a Milano, Bruti Liberati, Minale, Canzio, Laura Bertolè Viale; a Torino, Maddalena; a Palermo, Guarnotta; a Taranto il Procuratore Sebastio, protagonista della vicenda Ilva. Ma il più colpito è il Palazzaccio e i suoi vertici, Santacroce per la Corte e Ciani per la Procura generale. In Cassazione, già in debito d’ossigeno, 14 giudici dovrebbero fare gli scatoloni a ottobre e, entro il 2015, altri 7 (tra cui Giovanni Conti, colonna delle sezioni unite penali e Amedeo Franco, relatore della sentenza Mediaset); ben 42 presidenti di sezione dovrebbero uscire a dicembre 2015. Nomi che hanno fatto la storia della giurisprudenza, come Gabriella Luccioli (sue le sentenze su Eluana Englaro e sui figli di coppie gay), Nicola Milo (spacchettamento della concussione), Maria Cristina Siotto (Dell’Utri), Gennaro Marasca (Abu Omar), Renato Rordorf (tra i maggiori giuristi italiani di società e finanza), Luigi Rovelli (delibazione dello Stato sugli annullamenti della Sacra Rota), Giuseppe Berruti (concorrenza). Per non dire di altri 5 “direttivi” non ancora sessantottenni, penalizzati due volte perché tagliati fuori anche dalla proroga prevista invece per i settantenni. Tra loro il segretario generale Franco Ippolito che ha riorganizzato la Corte in questi anni, figura storica della magistratura (relatore con Conti della sentenza sulla prima guerra di mafia Provenzano-Riina).
Infine c’è il caso di Mario Barbuto, 72enne presidente della Corte d’appello di Torino che Orlando ha chiamato alla guida del Dipartimento strategico dell’organizzazione giudiziaria: il Csm non ha ancora deliberato il suo “fuori ruolo” che a questo punto”, però, farebbe scattare subito la pensione, tagliandogli la strada per il ministero. A meno che non si faccia una deroga ad persona. Ma sarebbe un’assoluta novità che aprirebbe la strada a profili non giudiziari (dunque anche politici) per i capi Dipartimento.
Il Sole 24 ore 18.06.14