Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio si sono detti disponibili a confrontarsi sulla legge elettorale con Renzi. Legittimato dal voto europeo. Così, Grillo è uscito dall’isolamento, in cui si era rifugiato per inseguire un elettorato eterogeneo.
Dal punto di vista sociale e ancor più politico. Equamente distribuito fra sinistra, destra e antipolitici. Anche se la polemica con Renzi e il Pd l’aveva spinto, sempre più, verso destra. Per questo, comunque, Grillo ha sempre evitato di scegliere un alleato stabile. Accettando il rischio di finire fuori gioco. Di apparire, comunque, disinteressato ad assumersi responsabilità, a influenzare scelte e decisioni. Soprattutto, insieme ad altri soggetti politici. Così ha pagato un prezzo alto, alle elezioni europee. Ma anche alle amministrative. Alle europee. Aveva “minacciato” il sorpasso ai danni del Pd di Renzi. Con il risultato di convincere molti elettori di centro, ma ancor più di sinistra, incerti se e per chi votare, a recarsi alle urne. E a raccogliersi intorno a Renzi. Non solo, ma la stessa, aggressiva “profezia” statistica di Grillo — vinciamo noi! — ha trasformato un risultato ragguardevole, il 21%, in una sconfitta. Mentre il 40,8% ha fatto del Pd di Renzi
il primo partito in Europa.
Alle amministrative, i successi conseguiti a Livorno, anzitutto, ma anche a Civitavecchia e in due altri comuni, sono significativi. Ma anche molto marginali, di fronte al successo del Pd, e del Centrosinistra. Che hanno vinto in 167 comuni (con oltre 15 mila abitanti) su 243. Mentre prima ne amministravano 128.
Restare nell’ombra, per questo, è divenuto molto più rischioso che “prendere posizione”. Soprattutto di fronte alla prossima discussione — e decisione — in merito alla legge elettorale. Orientata, come prevede l’Italicum, verso un proporzionale con premio di maggioranza al partito o alla coalizione che ottenga più voti. Oppure vinca il ballottaggio. Se davvero si realizzasse, per quanto riveduta e corretta, questa scelta metterebbe, davvero, fuori gioco il M5s. Protagonista del singolare sistema politico italiano. Un bipartitismo imperfetto. Perché oggi il Pd supera il 40%. E otterrebbe la maggioranza dei seggi in Parlamento, senza bisogno di ricorrere a ballottaggi. Perché, la principale alternativa, il M5s, almeno fino a ieri, ha sempre, decisamente negato ogni “compromesso” con i partiti e i politici nazionali. Si è, dunque, posto e imposto come partito anti-partiti. Da ciò il suo successo, nel passato. Ma anche il suo limite. Perché non è credibile come “alternativa”, vista la sua indisponibilità ad assumersi responsabilità di governo. Vista, inoltre, la sua vocazione all’isolamento e la sua allergia verso ogni alleanza. Tanto più perché la logica maggioritaria spinge alla coalizione. E potrebbe indurre il Centrodestra a ricomporsi. Per necessità, anche se non per affinità. Mentre oggi è diviso, frammentato e rissoso. Decomposto dall’esilio e dalla marginalità di Berlusconi. È questo il vantaggio competitivo del M5s, a livello nazionale, ma anche locale. Visto che, dove riesce a superare il primo turno, intercetta gran parte del voto di centrodestra (come ha rilevato
ieri Roberto D’Alimonte sul Sole 2-4 Ore ).
Ma se il Centrodestra si aggregasse di nuovo, indotto, o meglio: costretto, dalla Legge elettorale, allora il quadro cambierebbe profondamente. Per il M5s. Perché, insieme, le liste di Centrodestra (cioè, Fi, Ncd, Fdi, Lega e Udc), alle elezioni europee, hanno superato il 31%. Cioè, 10 punti più del M5s. Mentre, se passiamo all’ambito comunale, i limiti della solitudine del M5s appaiono ancor più espliciti. Infatti, se consideriamo i tre principali schieramenti (ipotetici), i rapporti di forza negli 8057 Comuni italiani, in base ai risultati delle recenti europee, appaiono molto evidenti. La coalizione di Centrosinistra prevarrebbe in 5238 Comuni (65%), quella di Centrodestra in 2585 (32%), il M5s in 95 (1,2%). Naturalmente, queste stime (realizzate in base a simulazioni a cura dell’Osservatorio Elettorale del Lapolis-Università di Urbino) sono del tutto ipotetiche. Hanno, cioè, finalità esemplari e servono a discutere sugli scenari politici del Paese. Ma per questo sono utili. A sottolineare il “problema” del M5s. Che ha grande capacità di attrazione, se marcia da solo. Tanto che è primo partito in 303 comuni (3.8% sul totale) e secondo in 3981 comuni (49.4%). Tuttavia, appare svantaggiato in una competizione che preveda e, anzi, imponga le coalizioni. Dove il Centrodestra, oggi scomposto e anonimo, potrebbe riemergere e “scendere in campo” di nuovo. Anche senza Berlusconi.
Per questo Grillo e Casaleggio hanno ri-aperto il gioco. Cercando alleanze, in ambito (anti) europeo, dove si sono accordati con l’Ukip. Secondo la logica: meglio male accompagnati piuttosto che soli.
Mentre in Italia si sono rassegnati al confronto con il Pd e, anzitutto, con Renzi. In parte, riprendendo il discorso avviato con la partecipazione di Grillo a “Porta a Porta”, insieme e accanto a Bruno Vespa. Il testimonial in grado, più di ogni altro, di “sdoganarlo”, di normalizzarlo sul piano politico. Come oggi, a maggior ragione, può avvenire incontrando, in forma ufficiale, Renzi. Con, oppure meglio, senza streaming. Per rientrare nel gioco politico, da cui si era, fino ad oggi, auto- escluso. E, prima ancora, per promuovere una legge elettorale diversa. Non maggioritaria. Che non favorisca le coalizioni. E non ri-evochi il Centrodestra, come avverrebbe con l’Italicum — e i suoi derivati. Negoziato da Renzi, non a caso, con Berlusconi e con gli alleati di centrodestra della maggioranza. Grillo e Casaleggio, per restituire un ruolo e un peso al M5s, rivendicano una legge elettorale di impronta “proporzionale”. Com’è, in fondo, quella attuale, dopo la sentenza della Consulta. Per non rischiare l’espulsione dal gioco politico. Isolati, in Europa, insieme a Farage. In Italia, soli contro tutti. Dunque, semplicemente soli.
La Repubblica 16.06.14