È sopravvissuta all’assedio di Homs mangiando piantine e leggendo libri e ripetendosi, per farsi coraggio, «domani finirà ». Invece, il supplizio medievale di Zeinat Akhras, una farmacista di 65 anni, e dei suoi due fratelli, Anas e Ayman, commercianti, è andato avanti per 700 interminabili giorni, quanto è durato l’assedio degli antichi quartieri cristiani di Homs da parte dell’esercito siriano, per stanare i ribelli che vi si erano asserragliati.
Durante tutto questo tempo, per non deprimersi, Zeinat ha persino rinunciato a guardarsi allo specchio per non vedere il fantasma, tutto pelle ed ossa, in cui s’era ridotta. E ancora oggi, un mese dopo la fine del blocco, Zeinat pesa soltanto 38 chili, appena quattro in più dei 34 che pesava alla fine dell’assedio, e 20 in meno rispetto ai 58 chili dell’inizio della guerra.
Ma il suo spirito non ha ceduto. Non quando ha visto il suo universo restringersi terribilmente fino a comprendere soltanto la cucina e il soggiorno della sua casa. Né quando, a furia di sfamare i ribelli, le provviste accumulate per tempo si erano esaurite e non restava che mangiare le erbe che il fratello Ayman raccoglieva di nascosto in un cimitero. E neanche quando, avendo osato uscire di casa, e non è successo che sei volte in quasi due anni, Zeinat aveva visto il suo quartiere un tempo risonante di vita, ridotto a una tragica quinta ricoperta di macerie.
Borghesi e cristiani, gli Akhras sono stati tra i pochissimi, non più di un centinaio di persone, ci è stato detto qualche giorno fa da altri sopravvissuti, a rimanere nella città vecchia di Homs, anche dopo che, agli inizi del 2012, l’esercito fedele ad Assad aveva sigillato i quartieri cristiani nel tentativo di indurre alla resa i ribelli che vi si erano trincerati. Ed erano rimasti, questi civili, per paura che le loro case venissero occupate dai rivoltosi e di conseguenza distrutte dai bombardamenti delle forze lealiste.
All’inizio, racconta Zeinat all’agenzia Associated Press , la situazione sembrava tollerabile. Le provviste ammassate al primo piano della casa di famiglia, un edificio ottomano dalla facciata policroma di pietre bianche e nere, nel quartiere di Al Majaal, abbondavano: riso, fagioli, frutta secca, farina e gasolio. «I ribelli venivano a chiedere cibo senza neanche spianare le armi. Bussavano ed entravano. Non ci minacciavano perché sapevano che a casa nostra avrebbero trovato da mangiare».
Ma a poco a poco le scorte vanno esaurendosi. Un giorno gli oppositori armati del regime, fra le cui file cominciano le diserzioni, arrivano, costringono Zeinat a restare in cucina e si portano via tutto quello che possono, lasciando solo un po’ olio, tè e qualche spezia. Poi, finiscono anche quelli.
Ma la voglia di sopravvivere rimane. Mentre Zeinat si preoccupava di tenere la casa in ordine, Ayman esce per controllare se la farmacia di famiglia e il negozio di abbigliamento non fossero stati saccheggiati (lo saranno a un certo punto) e per cercare qualcosa da mangiare. Vale a dire un po’ di cicoria, o di malva, o di dente di leone, trovati in qualche aiola risparmiata dalle macerie e, negli ultimi mesi, al cimitero.
Zeinat s’ingegna a cucinare le verdure, ma il cibo è scarso, monotono e amaro. «Sapevo che stavo perdendo peso, mi sentivo come se stessi facendo una dieta che non avevo mai voluto fare. Il mio corpo era diventato quello di una bambina». La giornata dura dall’alba al tramonto, perché non c’è corrente elettrica, e viene scandita dalle esplosioni «a cui si fa preso l’abitudine». Cercare di non pensare, è l’unico espediente per estraniare il cervello dall’orrore. I libri in questo caso aiutano. Zeinat legge e rilegge la Bibbia e alcune vite di santi.
Abituati a proteggere la loro condizione di minoranza precaria, i cristiani della vecchia Homs resistono, mentre attorno la città è in fiamme. Un giorno, bussa il prete della vicina chiesa di Mar Elia e chiede di poter nascondere a casa degli Akhras il piccolo tesoro della chiesa: icone, antiche scatole, i libri della comunità che, così, verranno salvati.
Il momento peggiore è quando, a dicembre, Anas, che è malato di cancro, si aggrava e viene evacuato con un convoglio umanitario delle Nazioni Unite. Morirà 20 giorni dopo. «Mi mancano i miei fratelli — dice Zeinat — , eravamo sei maschi e sei femmine, mi manca mia madre che è morta alla fine del 2011».
Zeinat vive gli ultimi mesi dell’assedio in una sorta di permanente allucinazione. I ribelli, alla fine, hanno trovato modo di ritirarsi da Homs con un accordo dell’ultima ora. L’assedio è finito, ma Zeinat non se ne rende conto. Glielo dice un soldato, una mattina che è uscita dal suo bunker. Lei non sa cosa rispondere, è affamata, chiede un pezzo di pane. Il soldato gli dà una pita. «La mangiai tutta », ricorda. «Mi è sembrata buona come un dolce».
La Repubblica 12.06.14