Nell’arco di soli sette giorni, cadono nel disonore dell’accusa di corruzione due generali di corpo d’armata: Emilio Spaziante e Vito Bardi. Il secondo succeduto al primo a settembre scorso nell’incarico di Comandante in seconda del Corpo, il più alto gradino di carriera. Nell’arco di sette giorni, dal saccheggio del Mose al baratto napoletano sulle verifiche fiscali, si ripropone la saga nera di una congrega di altissimi ufficiali e del loro ramificato sistema di relazioni che ha trasformato le guardie in ladri e i ladri in guardie.
Spaziante, come Bardi, sono oggi i campioni e l’esito di una stagione che ha il suo atto fondativo alla fine degli anni ‘90. Quando un brillante e giovane ufficiale di nome Nicolò Pollari stringe un patto che è insieme di fedeltà e potere con un gruppo di altrettanto giovani ufficiali, per lo più gravitanti nel II Reparto del Comando Generale (l’Intelligence del Corpo), e la cui posta in palio è prendersi la Guardia di Finanza. Pollari è tanto ambizioso quanto politicamente spregiudicato. Comincia flirtando con un pezzo dell’ex Pci, si lega a quel Lorenzo Necci nelle cui Ferrovie parcheggia i più fedeli e funzionali tra i suoi ufficiali, ma è lesto a comprendere che la stagione del trionfo Berlusconiano (2001) offre un’opportunità irripetibile. Diventare il cardine di un Sistema che è, insieme, di potere e ricatto e in cui la Guardia di Finanza è braccio politicamente orientato del Presidente del Consiglio (Berlusconi) e del suo ministro dell’Economia (Tremonti). Pollari va dunque al Sismi e, al Comando generale, il suo delfino Emilio Spaziante (che per altro ha comandato il II Reparto) ne diventa fedele ventriloquo.
Il Servizio segreto militare e la Guardia di Finanza diventano vasi perfettamente comunicanti che garantiscono agli ufficiali che hanno prestato giuramento di fedeltà alla cordata di entrare e uscire dai due apparati. Accumulando potere, informazioni, capacità di ricatto. Spaziante, per dirne una, dai Servizi va e viene due volte (al Side prima, da capo reparto, al Cesis, poi, da vicedirettore). Ai Servizi transita Mario Forchetti (nel 2010 è capo dell’intelligence economica dell’Aise) dopo essere stato, da generale di divisione, comandante della Guardia di Finanza in Lombardia. Ai Servizi va Andrea Di Capua, ufficiale il cui fratello, Marco (oggi direttore vicario dell’Agenzia delle Entrate e in predicato di succedere a Befera), è nei pensieri di Pollari esattamente come in quelli di Spaziante e Tremonti. Non fosse altro perché, nella vicenda della maxi evasione di “Bell” (mancato versamento di imposte sui 2 miliardi di plusvalenza nella cessione di Telecom), da direttore generale dell’accertamento dell’Agenzia delle entrate, il suo ufficio, sulla scorta di due perizie, ha concluso per l’impossibilità di dimostrare i presupposti di diritto che consentirebbero di pretendere da Bell il maltolto.
La consorteria in alta uniforme ha un centro di gravità politico, la Lombardia e il ministro forzaleghista che esprime (Tremonti), un meccanismo interno di cooptazione che agli ufficiali che giurano fedeltà assicura un percorso di carriera rapido e irreversibile perché “dopato” dal riconoscimento abnorme di encomi che assicurano l’automaticità degli avanzamenti. Tra il 2003 e il 2007, da comandante generale (l’ultimo non espresso dal Corpo), ne è custode Roberto Speciale, il generale fellone che consegna se stesso alla storia del Corpo anche per aver costretto i baschi verdi a umilianti ponti aerei per il trasporto di spigole che allietino le sue vacanze nelle Dolomiti. Il “doping” di Speciale (il Pdl lo ricompenserà con un seggio in Parlamento) consegna definitivamente il vertice del Corpo e le sue più prestigiose articolazioni di comando a un network che conta ufficiali quali Mario Forchetti, Vito Bardi, Michele Adinolfi, Walter Cretella Lombardo, Vincenzo Delle Femmine, Walter Manzon.
Su ognuno di questi ufficiali si posa la mano benedicente di Tremonti e il nullaosta della sua cinghia di trasmissione con il Comando Generale, Marco Milanese. Ognuno di questi ufficiali finisce, a partire dal 2011, e a diverso titolo, nel radar delle Procure italiane. Con una costante. Il sospetto di aver quantomeno commerciato in informazioni privilegiate in vicende cruciali dove potere politico e potere economico si sono contaminati torcendo le regole del mercato. Bardi e Adinolfi rimangono impigliati nelle intercettazioni dell’inchiesta P4. Di Manzon sappiamo dagli atti del Mose. Delle Femmine (già vicecapo di gabinetto di Tremonti) finisce nelle carte dell’inchiesta Bpm per i suoi rapporti con Massimo Ponzellini e il suo spicciafaccende Antonio Cannalire (l’uno e l’altro accusati di associazione a delinquere). Walter Cretella Lombardo, sopravvissuto all’inchiesta “Why not” di De Magistris, finisce stritolato a Napoli dall’accusa di corruzione.
Il baratto tra la cordata della doppia obbedienza e Tremonti ha ragioni solide. Spaziante, oltre a un flusso di informazioni privilegiate, assicura al ministro che presto sarà possibile liberarsi (cancellandoli) dei Nuclei speciali di polizia valutaria, i reparti di eccellenza che sfuggono al controllo gerarchico dei comandi provinciali e regionali e indagano sui grandi evasori, sulle banche. Gli stessi di cui, una volta su due, lo studio Tremonti cura gli aspetti fiscali. In cambio, gli ufficiali che hanno giurato obbedienza hanno carta bianca. A meno che (è il caso di Michele Adinolfi) non si mettano in testa di giocare in proprio per il Comando soffiando all’orecchio di Berlusconi.
Nel 2011 la cordata era data appunto per morta. Ma lei non si è mai data per vinta. Ancora il 5 settembre 2013, Spaziante poteva cedere il suo ufficio di Comandante in seconda a Vito Bardi godendo dell’enfatico e pubblico ringraziamento del Comandante generale e suo dichiarato avversario Saverio Capolupo. «A mio nome e a nome di tutta la Guardia di Finanza esprimo i più sentiti ringraziamenti per l’opera prestata dal generale Spaziante».
La Repubblica 12.06.14