Oggi pomeriggio, se non avessi avuto solo pochi minuti per intervenire in discussione generale alla Camera sul decreto legge n. 74, avrei esposto alcune valutazioni che vi metto in calce in modo esteso.
” Il decreto che stiamo esaminando viene sinteticamente definito come il decreto Alluvione Modena. Ma questa definizione è corretta a metà, perché solo il primo articolo è interamente dedicato agli interventi in favore delle popolazioni modenesi che nel giro di 24 mesi sono state colpite da un terremoto rovinoso, da una tromba d’aria, poi da un’imponente alluvione e infine da un’altra tromba d’aria: una coincidenza straordinaria di eventi calamitosi, abbattutisi su un’area relativamente circoscritta, mai verificatasi prima nella storia repubblicana, di fronte alla quale il governo ha dato una risposta tempestiva, positiva e concreta, nella consapevolezza – non scontata – che lo Stato debba assumere misure straordinarie di fronte a situazioni eccezionali.
Bene, molto bene, quindi, i 210 milioni di risorse vere destinate al ritorno alla normalità di coloro i quali hanno subito prima i danni del terremoto e poi quelli dell’alluvione. Sono stati mesi molto duri, quelli vissuti dalle comunità di Bastiglia e Bomporto per citare i due comuni più colpiti: ma ora comincia a vedersi la luce alla fine del tunnel, grazie alle diposizioni di questo decreto, che ha già permesso al commissario delegato, cioè il presidente della Regione ER, Vasco Errani, di assumere le ordinanze per erogare i contributi necessari per il ritorno alle normali condizioni di vita e di lavoro. Un testimonianza di questo mutato contesto sono gli applausi tributati ai sindaci di Bomporto e Bastiglia all’assemblea cittadina convocata, la settimana scorsa, per illustrare le ordinanze regionali: non tutto è risolto, ne siamo consapevoli, ma potremmo dire che abbiamo svoltato verso la fase della ripresa e soprattutto, ci si è concretamente impegnati per non lasciare indietro nessuno.
Dicevo, che se il primo articolo è dedicato agli eventi modenesi – e nel merito delle disposizioni qui contenute si soffermeranno altri colleghi – è altresì vero che il secondo riguarda l’operatività del Fondo per le emergenze nazionali.
Il decreto, quindi, ha un respiro ben più ampio rispetto alla denominazione corrente e soprattutto è in grado – e ancor di più lo è dopo l’approvazione di alcuni emendamenti durante l’esame in sede referente in Commissione – di rendere più efficiente il nostro sistema di prevenzione e di protezione civile.
E’ stato opportuno e giusto istituire a suo tempo un fondo unico in cui trovare immediatamente le risorse per fare fronte a situazioni di emergenza determinate da calamità naturali o connesse con l’attività dell’uomo, per chiudere con la lunga epoca della affannosa ricerca delle risorse necessarie. Perché la cosa funzioni però, quel fondo deve avere sempre una adeguata disponibilità finanziaria: è con questo proposito che sono state assunte determinate decisioni in legge di stabilità e che nel decreto che stiamo esaminando si è previsto, in particolare, la revoca e la rassegnazione al Fondo stesso di risorse già destinate ad affrontar calamità naturali ma che non sono state utilizzate: in altre parole si tratta di rimettere in circolo risorse che sono in standby e che in questo modo vanno a rimpinguare il Fondo.
Risorse che, grazie al lavoro di commissione, sommano a 100 milioni, che così possono essere assegnate per affrontare la prima fase di quelle emergenze che la protezione civile ha già esaminato favorevolmente, come l’alluvione di Senigallia, per citare l’ultimo esempio nefasto.
La proficua interlocuzione tra le forze politiche presenti in commissione – che hanno lavorato con spirito unitario – ed il governo ha portato poi alla approvazione di altri emendamenti che consentono, ad esempio, il finanziamento delle reti di monitoraggio per la prevenzione, cioè i diversi sistemi di allerta che avranno una maggiore operatività per dare il primo allarme, consentendo così di salvare vite umane. Ancora, la commissione si è espressa favorevolmente a due nuove norme tese al rifinanziamento, con 50 milioni, del fondo regionale per affrontare le emergenze e al recupero, regione per regione, delle risorse non spese per reinvestirle a favore di nuove situazioni emergenziali.
L’articolo 2 del decreto in parola, grazie a questo attento lavoro di modifica, esce rafforzato, a reale vantaggio dei territori e delle popolazioni locali coinvolte da eventi calamitosi.
Da modenese, posso testimoniare per esperienza diretta dell’impatto benefico dell’efficacia degli interventi durante un’emergenza non solo per salvare persone e cose ma per cementare il senso di appartenenza ad una comunità nazionale. E’ nella fase della fragilità e della paura che misuriamo con inusitata sensibilità il nostro sentirci parte di uno Stato e la sua capacità di dispiegare concretamente interventi di solidarietà nazionale.
Purtroppo il nostro Paese patisce ancora dell’assenza di una legge nazionale sulle emergenze e sulla ricostruzione seguenti a catastrofi. Tale assenza, come ho già avuto modo di dire in questa stessa aula qualche mese fa, determina un ingiustificato contraccolpo sui diritti dei cittadini colpiti da rovinose calamità naturali: nella stessa identica sorte di avere perso tutto o quasi tutto, ebbene, questi cittadini non godono – alla luce dei fatti – degli stessi livelli di tutela e di ristoro, che dipendono dalle mutevoli scelte politiche, dai cambi di governo, dalle diverse valutazioni degli organismi tecnici, come la Ragioneria dello Stato.
Ed è alla rappresentazione di alcuni esempi di questa asimmetria che vorrei dedicare la seconda parte del mio intervento. Esempi tratti dall’esperienza diretta dall’emergenza e dalla ricostruzione del terremoto del maggio 2012, che ha travolto le province di MO, RE, BO, FE, MN e RO.
Farò due esempi, entrambi connessi al delicato tema della fiscalità. Al netto di quanto dispone la normativa europea, è un fatto che nei confronti di territori terremotati sono state applicate, nel tempo, normative sempre più restrittive e poco solidaristiche, fino al sisma del maggio 2012, in occasione del quale, oltre alla consueta sospensione fiscale di sei mesi, nulla è stato disposto. Credo di non sbagliarmi nel dire che ai terremotati di E-R, Lombardia e Vento nessuna agevolazione fiscale è stata disposta, nonostante le pressanti e costanti richieste dei rappresentanti territoriali e nazionali, se non la possibilità – per le imprese danneggiate – di accedere un mutuo per provvedere al pagamento dei tributi, dei contributi e dei premi sospesi del periodo giugno 2012 – dicembre 2013. Stiamo parlando delle imprese che hanno avuto il capannone danneggiato o distrutto e patito pesanti danni diretti al reddito e sono le stesse imprese che hanno anticipato le risorse per ripristinare l’attività produttiva e per garantire i livelli occupazionali.
E’ evidente che in questo contesto molte aziende non sono ancora in grado di ripagare le rate del mutuo, ora che da 8 mesi hanno ricominciato a versare le imposte e i contributi. Ecco perché, nel precedente decreto legge 4 fu approvato, con il concorso di tutte le forze politiche, un emendamento che nelle intenzioni del legislatore prorogava di due anni la restituzione del mutuo.
E’ cronaca di questi giorni che tale intenzione, espressa in questa aula così come in dichiarazioni pubbliche, sia stata travisata dall’accordo tra ABI e CdP che ha interpretato la norma come una rimodulazione del piano di ammortamento, da attivare dal 1 di luglio.
Come legislatori non abbiamo cambiato opinione pertanto abbiamo lavorato unanimemente in commissione referente per una nuova norma che prevede la concessione, a domanda, della proroga di 12 mesi per pagare la prima rata e per dare quindi un reale sollievo alle imprese che oltre al terremoto devono affrontare le insidie della burocrazia. Con questa norma, interveniamo per la quinta volta sull’argomento: è facile capire che così non si può più procedere ed è altrettanto facile capire che stiamo pagando – a caro prezzo – l’assenza di una normativa nazionale che ci renda finalmente tutti uguali davanti alle avversità.
C’è poi un’altra questione, cui vorrei accennare e che riguarda l’ipotesi, da tempo perseguita, di istituire una zona franca urbana in alcuni circoscritti territori colpiti dal sisma del 2012. La proposta non è estemporanea, ma è stata mutuata dall’esperienza dell’Aquila, avviata con decreto ministeriale del settembre 2012, cioè 3 anni dopo il sisma che colpì l’Abruzzo e tre mesi dopo quello emiliano, veneto, lombardo.
Riprendersi dagli effetti di un terremoto devastante non è facile, perché le onde del sisma rompono le strutture materiali insieme a quelle filiere invisibili – produttive e sociali – che tengono insieme una comunità. Ecco perché la ricostruzione è opera lenta e non si conclude con la sola riedificazione degli edifici. Ed ecco perché come PD avevamo presentato per la discussione in commissione un emendamento sulla costituzione di ZFU a favore delle micro imprese con sede nei centri storici dei comuni più colpiti dal sisma: una misura per dare respiro al commercio, al terziario e all’artigianato che fa faticosamente impresa dopo il terremoto e al contempo tiene vivo il centro storico, cioè la porzione urbana più rappresentativa e simbolica di una comunità.
L’esito a questa nostra proposta è stato negativo. Aggiungo, per ora. Perché se rinunciamo a discuterne in questa sede per consentire una rapidissima approvazione del decreto, riteniamo tuttavia che sia doveroso nei confronti dei terremotati del sisma 2012 spiegare le ragioni del diniego, che invece non ci fu per analoghe situazioni, e altrettanto doveroso sia istituire un tavolo tecnico che ponderi attentamente la proposta.
Ma non voglio chiudere con una nota negativa poiché ritengo che questo decreto sia molto buono, grazie a norme positive ed efficaci. Come l’inclusione, tra le disposizioni previste per gli alluvionati modenesi, dei danneggiati dalla tromba d’aria e dalla straordinaria grandinata, per estensione e per intensità, che il 30 aprile ha chirurgicamente colpito la stessa identica area travolta dalla rotta del Secchia di gennaio scorso. Si tratta di eventi climatici eccezionali, che hanno determinato la perdita di produzione degli impianti arborei (frutteti e vigneti) nonché alle stesse strutture di difesa. In questa area la produzione cerealicola e frutticola (pere e vite, in particolare lambrusco) è stata compromessa con perdite stimate dal 30 al 50%, mentre le aree destinate a seminativi sono ancora oggi impraticabili a causa del ristagno e del sedimento lasciato dall’alluvione. Le imprese agricole quindi devono far fronte alle spese necessarie per il ripristino dei danni subiti, ma non possono contare sulle entrate che mancheranno per la distruzione del raccolto futuro.
Una situazione drammatica, alla quale si dà una prima risposta positiva con le disposizioni contenute in questo decreto che, per rispetto di chi vive già ora i disagi prodotti da calamità naturali e per tutela dell’intera popolazione italiana, riteniamo debba essere velocemente convertito in legge.
Pubblicato il 11 Giugno 2014