Solo un «temporaneo prolungamento» del mandato. Nessuno si metta in testa che il settennato bis del capo dello Stato, già di suo eccezionale, proseguirà ancora a lungo. È un’appendice, destinata a concludersi col compimento del percorso delle riforme. Giorgio Napolitano torna a suonare il campanello della sveglia ai partiti in Parlamento. E lo fa davanti a una platea inconsueta, forse volutamente estranea alla politica: quella che si è radunata nel salone delle feste del Quirinale per l’annuale presentazione delle candidature ai premi David di Donatello 2014. Appena il giorno prima, al Colle era salita il ministro per le Riforme Maria Elena Boschi, per aggiornare il presidente sull’andamento delle trattative. Ieri la stessa si dichiarava «ottimista», convinta che un accordo si chiuda nei prossimi giorni. «Non potevo mancare anche quest’anno, visto il temporaneo prolungamento del mio mandato che svolgo nei limiti del possibile, fermamente e rigorosamente, ma soltanto nell’interesse generale del paese, che suggerisce oggi cambiamenti e riforme in molti campi, anche in quello istituzionale» sottolinea ad apertura il capo dello Stato. L’Italia ha «bisogno di visioni più aperte», di liberarsi «dagli schemi del passato, di energie innovative e qualità della crescita». Napolitano chiude rivelando, con un pizzico di commozione, di essere stato tentato in gioventù «di avventurarmi sulle strade del cinema e del teatro, poi mi sono perso in altre strade».
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“IL RETROSCENA”, di CLAUDIO TITO
IL “bis” del 2013 è stato sempre interpretato come una doverosa risposta emergenziale ad una fase altrettanto emergenziale. Una eccezione cui porre fine nel momento in cui quelle stesse condizioni critiche fossero cessate.
La stabilità politica, la necessità di mettere ordine nei conti dello Stato, le riforme istituzionali e soprattutto una nuova legge elettorale hanno rappresentato per il Colle i punti cardinali intorno ai quali far ruotare le scelte. Le “emergenze” cui dare una risposta istituzionale responsabile. E una volta puntellato il sistema, riconsegnare al Parlamento il compito di eleggere un nuovo presidente della Repubblica.
In questi mesi allora Napolitano ha individuato uno spazio temporale nel quale rassegnare le sue dimissioni. Non intende lasciare il suo posto prima che si perfezioni un appuntamento considerato centrale per il Paese: il semestre di presidenza italiana dell’Unione europea. I sei mesi “europei” hanno inizio il prossimo primo luglio e si chiudono il 31 dicembre. «Poi tireremo le somme», ha sempre ripetuto ai suoi collaboratori. È dunque intenzionato — la decisione è stata comunicata da tempo a tutti i vertici politici e istituzionali — a pilotare la Repubblica almeno fino a quella data. Da quel momento si aprirebbe un periodo che qualcuno già definisce un “semestre grigio”. Un mandato in scadenza ma con la completezza e la pienezza dei poteri che la Costituzione affida alla massima magistratura dello Stato.
Eppure qualcosa nei prossimi mesi può cambiare. Matteo Renzi, infatti, consapevole dei progetti quirinalizi ha iniziato a prendere in considerazione una nuova possibilità: chiedere al capo dello Stato una sorta di “proroga”. Almeno fino al prossimo maggio.
Tra l’inquilino del Colle e il presidente del consiglio è come se fosse scoccata una scintilla. In questi quattro mesi è stata costruita un’intesa su cui pochi avrebbero scommesso. Una strana alchimia tra il veterano e il più giovane rappresentante delle nostre Istituzioni che produce una singolare emulsione di sintonie e affinità.
Un feeling che sta spingendo proprio il presidente del consiglio a formulare un invito inatteso: «Restare al Quirinale ancora per un altro po’». Qualche mese in più dopo la conclusione del semestre italiano dell’Ue.
Napolitano ancora non sa nulla di questa idea, né intende stimolarla. Anzi, per il momento non vede cambiamenti nei suoi piani. Ma Palazzo Chigi scommette proprio su questa “strana intesa”. Entrambi infatti stanno edificando i loro rispettivi mandati sue due pilastri comuni: le riforme e l’Europa. Lo fanno con storie e caratteri diversi. È come se improvvisamente gli opposti si attraessero. Napolitano, infatti, dopo l’insistenza con cui si è battuto per dare stabilità al Paese e per restituire un ordine ai nostri conti pubblici con i governi Monti e Letta, considera queste le tessere per completare e rifinire il mosaico della sua missione.
Le riforme, quella costituzionale e quella elettorale, costituiscono un’urgenza per entrambi. Per il premier si tratta di un «cambiamento» irrinunciabile. Di una sfida lanciata sull’onda della rottamazione e del superamento di una «palude » ormai insopportabile. Per il presidente della Repubblica di una esigenza di fluidità nel sistema istituzionale a questo punto improcrastinabile.
Anche l’Europa rappresenta una sorta di passione convergente.
Entrambi sono convinti che l’Italia — soprattutto dopo le ultime elezioni — possa giocare un ruolo da protagonista nell’Unione. Il capo del governo spera di poterlo far valere anche a livello personale. Non è allora un caso che Napolitano sia diventato in questi mesi il primo consigliere di Renzi sul terreno della politica internazionale e comunitaria. Non si tratta solo di un compito istituzionale, ma di qualcosa di più. Basti pensare che il segretario
del Pd ha salutato con entusiasmo la partecipazione del capo dello Stato alla cerimonia per i 70 anni dello sbarco in Normandia. E non ha frenato l’ipotesi che lì prendesse parte — in caso di necessità — anche ad un summit più operativo con Obama e gli altri leader europei. L’esperienza da europarlamentare, da “ministro” degli esteri del Pci, profondo conoscitore della famiglia socialista, viene in effetti considerata irrinunciabile dal presidente del consiglio. «Sicuramente — ripete da tempo — è il più bravo di tutti noi».
Per questo Renzi è intenzionato a chiedergli un altro “sacrificio”. Restare al suo posto almeno fino all’inaugurazione dell’Expo. L’esposizione di Milano prenderà il via il Primo maggio 2015. Il premier è convinto che se verranno superate le difficoltà di questo momento, archiviati gli scandali e cestinate le corruttele, sarà un grande successo per l’Italia e soprattutto una gigantesca vetrina in cui esporre il meglio del Paese. Avere allora quel giorno Napolitano — al quale sta confidando gli sforzi per rispettare tutte le scadenze — a tagliare il nastro dell’Expo sarebbe il migliore viatico. «Sarebbe in primo luogo giusto».
Ma non solo. L’obiettivo di Palazzo Chigi sarebbe addirittura un altro. Ossia, che tocchi ancora all’attuale inquilino del Quirinale promulgare la riforma costituzionale in esame in questi giorni al Senato. Quella che sostanzialmente mette fine al bicameralismo perfetto e abolisce Palazzo Madama. Del resto il capo dello Stato da tempo si batte per rivedere il sistema delle due Camere paritarie. E spesso rimane esterrefatto dagli impacci e dalla babele di proposte che mirano a impantanare questo progetto. Solo qui si contesta una soluzione accolta in tutti i paesi occidentali: le Camere alte rappresentano le istanze regionali e non partecipano al rapporto di fiducia con il governo. Sia Napolitano, sia Renzi sono però sicuri che quegli ostacoli verranno comunque superati. E il premier vorrebbe offrire un altro riconoscimento: attestare concretamente lo sforzo riformista e riformatore del capo dello Stato.
Ma quanti mesi ci vorranno per approvare l’intero pacchetto? I tempi potrebbero essere troppo lunghi. Renzi è convinto di potercela fare entro giugno 2015. La sua road map è però piuttosto serrata: le
quattro votazioni parlamentari entro dicembre 2014 e poi il referendum confermativo, appunto, entro giugno. E proprio il referendum confermativo, fissato per legge a prescindere dal quorum dei due terzi, viene considerata l’arma per velocizzare il disco verde definitivo. Nella sostanza a Palazzo Chigi fanno osservare che non essendoci bisogno di un voto qualificato in Parlamento, la coalizione di governo non sarà costretta a subire i veti di Berlusconi e di Forza Italia. Se l’ex Cavaliere ci sta, bene. Altrimenti si va avanti a colpi di maggioranza.
Ma il sospetto del Quirinale è che i tempi siano comunque troppo lunghi. Anche perché un minimo incidente, un ritardo rischia di compromettere lo schema che Renzi si è dato. Senza contare che il presidente della Repubblica si sente profondamente affaticato. Le pressioni che in una fase complicata come questa vengono esercitate sul capo dello Stato
sono fortissime. «Sapete il prossimo 29 giugno in quale anno entro?», è l’interrogativo che ogni tanto pone ai suoi interlocutori il capo dello Stato. Napolitano il prossimo 29 giugno spegnerà 89 candeline e quindi entrerà nel novantesimo anno. Ed è forse per questo che Renzi sta cercando di chiudere entro il giugno del 2015 l’intero iter delle riforme. Perché sa bene che nelle intenzioni di Napolitano esiste ormai un “range” piuttosto chiaro all’interno del quale presentare le dimissioni. Non prima del 31 dicembre 2014 (quando finirà il semestre di presidenza dell’Unione europea) ma sicuramente non oltre 29 giugno 2015. Quando, appunto, compirà 90 anni.
La Repubblica 11.06.14