Ha vinto ancora lui, contro Gomorra. Ma ci sono voluti venti anni e tre scioglimenti antimafia. Renato Natale, 64 anni, medico, esponente di Libera, è di nuovo sindaco a Casal di Principe, 20mila abitanti, epicentro dell’impero del clan dei casalesi. «La mia parola d’ordine? Lo Stato. Che sanziona, ma che sa anche stare al fianco dei cittadini migliori». È la nemesi del potere criminale, quattro lustri dopo la breve primavera di Casale. Eletto al ballottaggio con il 68,3 e due liste civiche (contro le quattro liste e il 31,7 del rivale omonimo, Enricomaria) il primo cittadino aveva già governato per dieci mesi, dal ’93 al ’94, poi costretto a dimettersi per il voto contrario della sua maggioranza, dopo l’esecuzione mafiosa del parroco Peppino Diana. Un risultato che provoca entusiasmo: dalla Bindi, a Saviano (che twitta: «Casal di Principe è in una nuova era») a Nichi Vendola (che parla di «riscatto e futuro migliore» e lancia l’hashtag #tuttanatastoria).
Allora, dottor Natale, da dove ricomincia?
«Qualcosa avevamo avviato. E mi piace pensare, come diceva Troisi, che posso ricominciare da tre: la speranza che avevamo sollevato, l’impegno che oggi muove molti cittadini e il sangue di un martire come don Diana. Io l’ho visto morto don Peppe, e oggi è risorto insieme a noi, insieme al popolo di Casale».
Oltre alla piaga criminale, il paese sconta ritardi, abusi, inquinamento ambientale.
Eppure ha il record di aziende edilizie. Quale sarà la prima, simbolica azione?
«Per esempio, costituirci sempre parte civile nei processi per inquinamento e per i delitti che gravano sull’attesa di riscatto dei nostri giovani. Ma il primo gesto “rivoluzionario” è l’organizzazione. Organizzare la macchina comunale che non funziona, organizzare le risorse, il tempo, le energie positive. Siamo in un dissesto finanziario e soprattutto burocratico. Poi, con tutti i consiglieri comunali, sottoscriveremo la Carta di Pisa: codice di trasparenza e onestà per gli amministratori».
A Casale, tra l’altro, quasi nessuno aveva un contatore e pagava la bolletta dell’acqua, fino all’arrivo del commissario prefettizio Silvana Riccio.
«Ripartiremo anche da lì, ma facendo dei distinguo. Qualcuno non allacciava i contatori, e lo Stato non può recuperare in un attimo decenni di abbandono».
In aula di giustizia, di recente, il pentito De Simone ha detto che i clan e i loro amici politici la detestavano perché lei «parlava con Violante e lo Stato mandava più controlli ». Come sono stati questi venti anni?
«Normali. Senza mai rinunciare alle battaglie. Intanto arrivavano le stangate giudiziarie. Tantissimi capi sono al regime duro di 41 bis, tanti ergastoli sono stati inflitti. Ma il problema ovviamente è culturale, e di sviluppo. E sbrigare questi nodi è il mestiere della politica e dell’amministrazione che si assume le proprie responsabilità, e i propri guai».
La Repubblica 10.06.14