Alza gli occhi dalla platea al loggione, tutto gremito anche lassù. «Guarda che gioia. Quanto mi piace questo San Carlo. È pieno, proprio. Pensare che i sondaggi lo davano vuoto. Ci devono essere stati dei brogli». Roberto Benigni comincia con il genio comico e finisce con la poesia che ammutolisce. Eugenio Scalfari, finge preoccupazione accanto al travolgente premio Oscar: «Questa cosa non finisce bene». Poi gli intima giocoso: «Giù le mani», temendo di essere preso in braccio «come Berlinguer», lo provoca su Renzi, lo interroga sull’anima e su Ulisse, infine lo candida al Quirinale, a Palazzo Chigi e al Vaticano. Il lirico napoletano, ricolmo e reattivo in una bollente domenica estiva, appena li vede insieme scatta in piedi: tripudio di partecipazione, ilarità e commozione, che è voglia di abbracciare e riconoscersi in due simboli della cultura italiana. Una, due, sei volte sarà standing ovation per Benigni e Scalfari, formidabile coppia che corona il successo della Repubblica delle Idee, voluta a Napoli dal direttore Ezio Mauro.
Un’ora e mezza di dialogo. Tra politica e Dante, tangenti e Medioevo, tra Ulisse riletto in chiave Berlusconi e la toccante, mormorata immersione nel XXVI canto dell’Inferno sul naufragio dell’anima che travolgerà Odisseo. Tra lucide invettive contro «i ladri» e omaggi toccanti. Il primo è per il ventennale della scomparsa di Troisi: «Tutte le scintille di gioia di queste ore per il mio caro amico» dice Benigni, prima che il ricordo spezzi la voce. Il secondo è per Enrico Berlinguer, di Scalfari: «Lui appartiene alla storia della nostra democrazia. L’ho rivisto in una scena spaventosa del film di Veltroni. Era come già morto, ma la volontà di essere leader del Pci lo obbligava a terminare quel discorso, anche se il suo popolo, gli urlava di lasciare quel palco». Pubblico in piedi di nuovo. Ci pensa l’irriverente Pinocchio a tornare all’ironia: «Non sapete la gioia per questo incontro. E allora fatemi fare un selfie con lui, diventa uno Scalfie. Se lo mettiamo sul tweet di Repubblica, fa 2 milioni!» E fa per sollevare Scalfari. Che lo fulmina: «Oh! Giù le mani. Io l’ho detto: qui finisce male». E si riparte dalla satira.
Benigni:
La prossima Repubblica delle Idee si fa a Venezia. Vengo ora da lì, c’è tutto un movimento. Tutti che lavorano, scappano, chi li rincorre, chi si nasconde. Stanno costruendo una nuova grande opera: il nuovo carcere. Senza il carcere, Venezia sprofonda. Poi siamo nella tradizione. In questo gran teatro si sono allestite opere di Rossini, Verdi, Bellini. Ora siamo forti su altre opere: l’Expo di Greganti-Frigerio, il Mose di Galan-Orsoni, grandi musiche».
Scalfari:
Vedi che l’altro giorno hanno dato I Pagliacci .
Benigni:
Abbiamo lo scandalo della cassa di risparmio in Liguria, Milano con l’Expo, il Mose a Venezia. Tutta malavita organizzata al Nord, bisogna stare attenti, preservare il Sud dalle mafie. Galan prendeva 100 mila euro al mese: ma essendo in nero, risultava che non guadagnava, e a maggio ha preso i centomila e gli 80 euro di Renzi. Renzi dice: «A calci, tutti a casa». Non ha detto l’altra parola: devono andare in galera e restituire i soldi. Ché sono soldi nostri. È terribile quello che ho detto, non voglio vedere in prigione nessuno, neanche il peggior malvivente. Però la legge ci rende liberi. Loro sono talmente deboli e vili che non hanno la forza di rispettare la legge. Ciò che contraddistingue la corruzione è che sono gli ultimi: ma non gli ultimi che diventeranno i primi, sono gli ultimi che resteranno ultimi.
Poi torna al gioco col fondatore di Repubblica.
Benigni:
Non ci volevo venire. Lui è abituato ad altro. In pochi giorni ha visto il Papa, Renzi e Napolitano…
Scalfari:
Ma non mettere insieme cose diverse! Dissi al Papa che io non credo all’anima. Lui mi rispose: non ci crede, ma ce l’ha. È vero.
Benigni:
(serio) E non sai cosa ti perdi. Col Papa hanno parlato di Dio. Poi il Papa è rimasto solo con Dio e hanno parlato di Scalfari. Ma lui sembra un po’ il dio della Cappella Sistina. Ti faccio Adamo, dai. (Si piega con l’indice proteso, Scalfari fa lo stesso, mimano la potente scena dell’affresco di Michelangelo).
Scalfari:
Vabbé, cambio idea. Potresti fare il Papa. Benigni, conosce a menadito Dante, conosce benissimo la Costituzione, canta l’inno di Mameli, ha studiato Machiavelli. E dunque: il presidente Napolitano compie 90 anni tra poco e vuole andare via. A quel punto dovremmo scegliere qualcuno: che conosca la Costituzione, l’inno, Machiavelli…
Benigni:
Bene, vedo che siamo ancora nella parte comica… Siamo il paese del miracolo perpetuo. Durante gli anni bui, già San Bene-
detto da Norcia ha inventato ora et labora, ha mandato altri fraticelli come lui in giro per l’Europa, dove non c’era più niente, a ricopiare i testi della cultura occidentale. Abbiamo inventato democrazia, università, finanza, e la laicità nel Medioevo. E anche il primo femminismo con i preti: hanno deciso che la donna poteva dire «sì» al matrimonio.
Scalfari:
Sì. Ma quelle donne mica potevano dire no. E poi Caterina de’ Medici mi pare che abbia esportato un bacio.
Benigni:
Sì, il bacio «alla francese», ma è di un’italiana. La volevano ammazzare, chi è: il diavolo? Poi è piaciuto. Ora siamo in questa Europa dove ci sono da un lato i partiti della paura, che vogliono distruggere tutto, e quelli dello stato sociale avanzato che vogliono portare avanti il bene comune. Sono così contento della vittoria che c’è stata in Italia».
Scalfari:
Renzi ha preso il 40,8 per cento e 11 milioni di voti. Veltroni prese il 34, ma erano 12 milioni di voti. Adesso la gente ha votato poco. Berlinguer quando era al massimo del Pci, 34-35 per cento, prendeva 17 milioni di voti. Ho visto Renzi, qui, che è facondo. Mi sono ricreduto: per come arringhi la folla, tu devi andare a Palazzo Chigi, prendi il 70 per cento».
Benigni:
Non posso prendere Quirinale e Palazzo Chigi?
Scalfari:
Potresti, certo, con la Repubblica presidenziale. Molti sono favorevoli al cancellierato. Ma bisogna poi adottare il bilanciamento dei poteri, riscrivere la Costituzione. Vi sembrano i tempi più adatti per riscrivere la Costituzione? Comunque: entriamo nell’altra parte del dialogo. Devi leggere Dante. E ti devo chiedere perché Ulisse, eroe moderno, perché viene messo all’Inferno? È un uomo che viene trasformato dall’incontro con cinque donne: Penelope che lo attende a casa; Circe, la maga che egli vince e possiede; Calipso di cui si innamora; Nausicaa che è una vergine, e Atena che litiga nientemeno con Zeus per lui. Ma perché finisce in quella terribile bolgia?»
Benigni:
Sì, in effetti Ulisse è uno che lascia la moglie a casa e va con tutte le donne che gli capitano a tiro, uno molto furbo, bravissimo a raggirare le persone. Che ha trascorso molto tempo sulle navi. Ha avuto una storia con una ninfa che si è scoperto essere la nipote di Poseidone. Ha sette ville a Itaca e il terrore di sentire… le sirene».
Scalfari:
Ma non ha il cane Dudù…
Benigni:
Argù, il cane si chiama Argù (Poi, ecco l’Ulisse quello vero, XXVI canto. Silenzio teso).
Benigni:
A Dante interessa il naufragio dell’anima. Che è presente nella vita di ognuno di noi. Il paradiso e l’inferno sono dentro di noi. Tutto ciò che dice Dante lo possediamo intimamente. Ulisse va all’inferno perché ha commesso una prevaricazione, la ubris, è travolto dalla sete di conoscenza senza il freno dell’etica, ha condotto gli altri alla morte. Quando finiremo il canto, c’è bisogno di un attimo di silenzio. È la scrittura di Dante che lo prevede». Poi in un San Carlo raccolto recita gli ultimi versi sull’ Orazion picciola, l’esortazione universale dell’uomo a superare i limiti. È un sussurro dolente, l’ultimo tocco di Benigni: «Infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso». Fiato sospeso per trenta secondi. Emozione. Prima muta, poi fragorosa. Ultima lunghissima standing ovation per Benigni e Scalfari.
Scalfari :
Né presidente, né premier, né Papa. Tu sei poeta.
La Repubblica 08.06.14