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“Sono il pronipote dell’uomo di Neanderthal: lo dice il test Dna”, di Marco Cattaneo

Io — come tutti — sono una specie di miscuglio etnico: per metà mediterraneo, un po’ nordeuropeo, un po’ mediorientale. Con in più un due per cento di uomo di Neanderthal e un pizzico di uomo di Denisova. È questo il verdetto scaturito dall’analisi del mio Dna.
Con l’aria che tira in Europa c’è il rischio di essere frainteso, ma io sono — come tutti — una specie di miscuglio etnico: per metà mediterraneo, un po’ nordeuropeo, un po’ mediorientale. Con in più un due per cento di uomo di Neanderthal e un pizzico di uomo di Denisova, l’enigmatica specie di ominidi scoperta appena cinque anni fa nei Monti Altaj, in Siberia. In poche parole, è questo il verdetto scaturito dall’analisi del mio Dna effettuata dal Progetto Genographic, l’iniziativa lanciata quasi dieci anni fa da National Geographic e Ibm con l’obiettivo di tracciare le migrazioni umane attraverso l’analisi genetica delle popolazioni odierne. A volerla fare più lunga, i miei antenati per parte di padre furono tra i primi gruppi di Homo sapiens a lasciare l’Africa, circa 70mila anni fa, per stabilirsi nella Penisola Arabica. Di lì, alcuni presero la via dell’Asia, seguendo la costa e raggiungendo l’Australia già 50mila anni fa. Noi no. I miei, per così dire, se ne rimasero a girovagare da quelle parti da bravi cacciatori nomadi finché il clima cambiò.
Le temperature si abbassarono, le precipitazioni diminuirono, lasciando terre aride dove prima c’era una rigogliosa savana. Il deserto avanzava, e i miei (come i vostri, probabilmente) non avevano scelta: migrare o morire. Alcuni si ostinarono a rimanere in Medio Oriente, altri inseguirono le grandi mandrie di animali selvatici nelle praterie che a quell’epoca si estendevano
dall’Atlantico fino al Mar del Giappone. Il gruppo più piccolo, il mio, mosse verso nord, attraverso l’Anatolia e i Balcani. Lì, resistettero all’ultima glaciazione di 20mila anni fa, durante la quale i ghiacci ricoprivano il Nord Europa, ma anche l’area alpina e gli Appennini. E quando le temperature si fecero più miti, tra 15mila e 10mila anni fa, sciamarono per l’Europa, divennero agricoltori e allevatori e alla fine, finirono in Pianura Padana.
Il cammino dei progenitori di mamma non è stato molto diverso. Se ne uscirono dall’Africa un po’ più tardi, e un po’ più a nord, seguendo il bacino del Nilo fino al Sinai, e incontrando i Neanderthal intorno a 60mila anni fa. Deve essere lì che è avvenuto il fattaccio per cui mi ritrovo qualche avanzo di genoma neandertaliano. Dopo qualche millennio in Medio Oriente si ritrovarono con i parenti di papà nella Mezzaluna Fertile,
ma poi presero un’altra strada. Superarono il Caucaso lungo il Mar Caspio e passarono l’inverno nell’Europa centro-orientale, dove diedero il loro contributo alla scomparsa dei cugini Neanderthal. E di lassù calarono poi a sud delle Alpi con qualche orda di barbari. O almeno così mi piace immaginare. A oggi il Genographic ha analizzato il Dna di oltre 660mila persone, ricostruendo la mappa delle migrazioni umane con una precisione senza precedenti, grazie all’esame di 150mila marcatori genetici. Ogni nostra cellula contiene cromosomi che sono la combinazione del Dna che ereditiamo dai nostri genitori. Con qualche eccezione. Il Dna mitocondriale, per esempio, lo ereditiamo soltanto dalla madre, e il cromosoma Y dal padre. È da questi che si ricostruiscono le due linee di discendenza. E per questo le donne, che non hanno il cromosoma Y, non possono conoscere la propria storia paterna se non grazie all’analisi del Dna di un congiunto maschio di primo grado. Il Dna passa di generazione in generazione, ma di tanto in tanto intervengono mutazioni. E una mutazione di successo è come una specie di post-it sulla doppia elica del Dna; viene trasmessa per millenni ai discendenti del primo che l’ha recata. Confrontando il genoma di molti individui, con il metodo dell’“orologio molecolare” si riesce a stabilire quando e dove una mutazione sia avvenuta per la prima volta. E l’epoca e il luogo di quel primo evento segnano l’inizio di una nuova linea di discendenza umana. Così, controllando quali marcatori ci sono nel nostro Dna, si risale nella nostra storia personale, fino a quelle piccole comunità che vivevano 75mila anni fa nel cuore dell’Africa, e da cui tutti discendiamo. Il test è semplice, garantisce la riservatezza e non coinvolge marcatori come quelli per individuare la predisposizione a malattie genetiche. Per farlo basta richiedere il kit Geno2.0 a genographic. nationalgeographic. com e seguire le istruzioni. Che poi prevedono solo di sfregarsi l’interno delle guance con una specie di spazzolino da denti e rispedirlo in un contenitore sterile. Poi una mattina vi ritrovate nella posta elettronica un messaggio che annuncia che i risultati sono disponibili. Magari, come me, non ci troverete grosse sorprese — al di là del fatto che una parentela con i Neanderthal, almeno come ce li hanno sempre dipinti, può dare qualche inquietudine — ma avrete partecipato a un progetto scientifico di portata mondiale. E potrete fantasticare sul cammino dei vostri geni, sulle disavventure, i disagi, i pericoli, le malattie che i vostri antenati hanno dovuto affrontare per arrivare fino a voi. Qui e ora.

La Repubblica 08.06.14