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"La pagella al docente", di Mila Spicola

Scrive la signora Europa che in Italia “L’insegnamento è una professione caratterizzata da un percorso di carriera unico e attualmente da prospettive limitate di sviluppo professionale. La diversificazione della carriera dei docenti, la cui progressione deve essere meglio correlata al merito e alle competenze, associata ad una valutazione generalizzata del sistema educativo, potrebbero tradursi in migliori risultati della scuola”.

Da sottolineare “potrebbero”. Cerchiamo di mettere ordine due materie incandescenti: la diversificazione della carriera e la valutazione dei docenti. Possibilmente correlati all’obiettivo principale: che qualunque azione si traduca in migliori risultati per la scuola. Partiamo dalla diversificazione della carriera, intanto a prescindere dalla progressione. Il lavoro del docente è, cosa che dovrebbe entrare in una aggiornata narrazione aderente alla realtà – chiamiamola story telling che fa più presa – uno dei lavori più usuranti esistenti oggi. Non esistono dati generali perché nessuno si azzarda a fare un monitoraggio della salute fisica e psichica dei docenti (nonostante il testo unico sulla salute dei lavoratori lo renda obbligatorio per ogni categoria del pubblico e del privato) ma tutti sappiamo e nessuno lo dice a voce alta, che, dopo 20 anni di insegnamento, la possibilità di ammalarsi di burn out (letteralmente cervello bruciato, causato da logormanento fisico psichico) non è più una possibilità ma una quasi certezza. Attenzione, non sia un terrorismo psicologico il mio: il burn out si previene in modo semplice. Il punto è che non solo oggi non si previene, ma nemmeno si diagnostica e meno che mai si cura. Tranne nei casi estremi e patologici di evidente traveggola del docente o morsicamento del braccio di un alunno. Sommiamo questo dato a un altro dato: l’età media degli insegnanti italiani è la più alta del mondo. Oltre i 50 prima della legge Fornero, censita al 2010. Altro dato: l’87% dei docenti è donna. Oltre i 50 anni i fenomeni depressivi connessi alla menopausa e le neplastie connesse allo stress sono frequenti. Colleghiamo i dati non alla valutazione del docente per dare esito alle crociate legittime del cittadino elettore e pagante le tasse (ok, non sempre pagante, ma certamente giudicante, in modalità inversamente proporzionale), bensì alla finalità espressa dalla signora Europa e cioè il “miglioramento del sistema educativo”.

Correliamo i dati di cui sopra alla parola diversificazione carriera: prima che un premio, in base ai dati di sopra, risulterebbe una necessità. Non si può insegnare 20 anni di fila facendo solo quello senza mettere in campo uno dei dati di cui sopra e compromettere il “potrebbero” e “in migliori risultati”. Senza scomodare premi o altro o avanzamenti, un sistema serio potrebbe ad esempio pensare che ogni 5 o 6 anni di insegnamento ci sia un anno di servizio a scuola, fuori dalle classi, organizzato e per progettato, in cui un docente possa occuparsi in modo sereno e potenziato di funzioni aggiuntive, possa occuparsi di aggiornamento dei colleghi, previo il proprio (e dio sa quanto l’aggiornamento sia oggi un punto interrogativo disegnato nell’aria) e di tutta una serie di funzioni necessarie e sufficienti (supplenze, funzioni a supporto della presidenza, viaggi, programmazioni, attività aggiuntive,..e via dicendo)per assicurare esattamente quei “migliori risultati della scuola”. Ottieni uno stormo di piccioni con una fava. I costi in più sarebbero compensati dai risparmi nella spesa sanitaria e dai miglioramenti dell’organizzazione e dunque degli esiti delle scuole. Non vi piace la proposta? Troviamone un’altra.

Questo era un esempio di diversificazione di carriera non collegato ad avanzamento, diversificazione che è necessaria per tutti i docenti, non per alcuni sì ed altri no. Ma noi siamo innamorati delle pagelle e dunque, per “motivare” dobbiamo inserire la parolina valutazione e progressione. Certo, possiamo farlo, legittimo e possibile. Ma è per premiare il cittadino elettore di cui sopra, non per migliorare il sistema. Non lo dico io, ma lo dice la comparazione dei sistemi d’istruzione. Laddove la valutazione del miglioramento di un sistema d’istruzione si è legata alla valutazione dei docenti, spendendo tra l’altro barcate di dollari (vedi i due programmi statunitensi dell’era Bush e di Obama I) non si è avuto nessun miglioramento del sistema (a parte qualche miglioramento nello stipendio di qualche docente), bensì il contrario: tassi di rendimento medi calati e dispersione alle stelle. Negli Stati Uniti oggi abbiamo un dato di dispersione variabile tra il 50 e il 60% (non ci battiamo il petto per il nostro 20/24 %). Chiunque voglia approfondire il come e il perché si prenda l’ultimo pregevole studio della Fondazione Agnelli sul tema. Ma non credo che il cittadino elettore di cui sopra si convincerà e dunque introdurremo comunque la valutazione dei docenti per dire poi, tra 20 anni circa (i cicli dell’istruzione son lunghi, dunque stiano sereni i ministri attuali, tanto che gli frega? Sbroglieranno la matassa tra 20 anni) che non abbiamo avuto miglioramenti. Oppure ne avremo avuti, ma per altri accidenti, certo non per questo. Adesso si tratta di capire come differenziare gli stupendi degli insegnanti.

Mi giunge voce che la differenziazione dello stipendio potrebbe correlarsi alle funzioni aggiuntive assegnate all’insegnante e al tempo passato a scuola oltre l’orario di insegnamento. In modo da avere criteri obiettivi e non discrezionali. Mi pare cosa santa e giusta. Però mi vien da fare il mio esempio – solo perché è quello che conosco meglio – per anni, ho rifiutato funzioni aggiuntive (che tra l’altro sono retribuite), per avere più tempo per lo studio e per seguire le classi e i miei alunni. Sul tempo trascorso a scuola: avessi avuto un pc e un angoletto dove lavorare credo che sarebbe stata necessaria una brandina in effetti e l’apertura della scuola alla domenica, per quantificare il lavoro svolto a scuola. Poi qualcuno però dovrebbe spiegarmi meglio se, visto che io insegno arte, la visita di mostre, i viaggi d’arte e la fruizione di altro bene o attività culturale, come non so, la lettura di saggi d’arte e la pubblicazione lo la ricerca in quell’ambito, valgono come “tempo professionale che contribuisce alla valutazione dell’insegnante” o no. Nel mio caso 9 classi e 250 alunni circa. Mi sembrano più che sufficienti come funzioni aggiuntive visto che di ciascuno di loro pretendo verifiche scritte e da me pretendo tempo adeguato da dedicare a ciascuno di loro. “Ok prof, ma in qualche modo ti devo valutare”. Poniamo come indicatore le prove Invalsi? Dei miei allievi, nemmeno il più “somaro” nelle competenze misurate dalle Invalsi, che non sono la mia materia, è mai uscito dalla scuola media senza saper riconoscere un ordine classico e senza conoscere la differenza tra una cattedrale gotica e una chiesa a pianta centrale rinascimentale e senza essersi interrogato sul perché quella di Magritte non fosse una pipa. Ragazzini che oggi fanno i meccanici hanno appese nell’officina immagini della Cappella degli Scrovegni invece di calendari di signorine in bikini. Ragazzi che comunque non hanno raggiunto esiti eccellenti nelle splendide competenze di base rilevate dalle prove Invalsi sanno riprodurre e discutere sulla forma del Teatro Massimo di Palermo piuttosto che della Scala di Milano e comunque mi risulta che addirittura leggano romanzi. Cosa che il cittadino elettore di cui sopra ha smesso di fare da decenni. Ovviamente magari è un demerito per alcuni, preferire appesa alle pareti la Cappella degli Scrovegni piuttosto che le trasparenze di Rihanna, chè sempre di bellezze trattasi, ma per me continua a essere una grande fonte di soddisfazione che quei ragazzi diano un minimo di collocamento e di articolazione cosciente nella loro anima all’idea di bellezza. Questo per dire cosa? Che son troppo brava? Per carità, bravi loro.

Facciamo anche il caso della mitica prof di greco severissima di quel liceo là, quella che su 26 allievi ne boccia 20, che insegna il greco allo stesso modo identico della sua insegnante di greco, che non ha mai ritenuto utile nè proficuo aggiornarsi o mettere in dubbio quel metodo, e che ritiene che 6 alunni su 26 bravissimi e 20 bocciati è un buon segno di severità e bravura di prof, che ha almeno 4 funzioni aggiuntive e che trascorre a scuola tutte le giornate. Guai poi a sussurrarle che è ua tipica docente gentiliana da liceo perchè vi risponderà: “noi licei siamo l’eccellenza, nelle prove invalsi i nostri allievi sono i migliori”. Preciseremmo alcuni che i suoi allievi sono i migliori già all’ingresso, figurarsi poi i sopravvissuti. Secondo voi è una “brava docente”? Secondo quel tipo di valutazione, sì. Ottima docente, ma, se l’obiettivo di tale valutazione è il miglioramento del sistema d’istruzione, tale valutazione avrebbe fallito nell’intento: che è aumentare i livelli di rendimento medi degli studenti italiani, non cacciarli, bocciarli, selezionarli, ma formarli e recuperarli. Secondo le richieste sociali e della signora Europa, ma anche secondo la mia personalissima opinione, quella è una pessima docente. Ma se gli indicatori non vengono ben predisposti rimarrà quell’ “ottima e severa docente del tempo che fu”. Assolutamente inutile oggi. Quando il fine è diminuire i divari di rendimento e aumentare i livelli di successo scolastico del maggior numero di studenti, oltre che, of course, potenziare i bravi.

E così via potremmo verificare che non funziona a valutare il collega lavativo. E poi lavativo in cosa? In classe? Nelle attività aggiuntive? Nel tempo trascorso a scuola?

Pagelle e voti e merito per alcuni (il cittadino di cui sopra) son l’obiettivo, per altri il mezzo. Per altri ancora, ad esempio la Finlandia, sistema d’istruzione migliore al mondo, le valutazioni sono assolutamente ininfluenti se l’obiettivo è il “miglioramento del sistema educativo”. Ok e allora qual è il mezzo? Un sistema formativo e selettivo dei docenti completamente nuovo, serio, efficiente ed efficace e un’organizzazione del lavoro, civile e ben strutturata, che permetta (qualcuno vuol dire obblighi?) ai docenti di essere degli studiosi e dei ricercatori, durante tutta la carriera, non degli impiegati. Magari con dei meccanismi tipo quello appena descritto. Poi, se qualcuno vuol introdurre queste premialità connesse alla valutazione, e connesse alle attività di cui sopra, visto che lo chiede la signora Europa, lo faccia pure.

Dico solo che sugli indicatori di valutazione dei docenti c’è in corso in tutto il mondo una diatriba che non è solo italiana. Per una volta potrebbe essere l’Italia, sul modello finlandese, o trovandone un altro efficace, a dire all’Europa che è bene studiarci su un pochino comparando e approfondendo ciò che accade altrove, oltre il ditino alzato del cittadino elettore. Non che costui non abbia la sua legittima parola, ma almeno per spiegargli come è meglio che si spendano i suoi soldi. Per le cose che funzionano.

Molti concordano nel dire che il mezzo più efficace per migliorare un sistema d’istruzione è formare bene i docenti (cosa che in Italia difetta), selezionarli bene (e su questo stendiamo veli pietosi) e aggiornarli, o meglio, dargli modo di studiare, obbligatoriamente e tutti, lungo tutto l’arco della carriera (ehm..ehm..). Sommiamo a questo il turn over.

Con tutto sto parlar di merito e di competenze si dimentica sempre che il pesce puzza dalla testa. Il processo appena accennato ad oggi non ha nessuna valutazione e nessun controllo. A parte l’evidenza delle inefficienze e dei disastri. Eppure è la prima e necessaria azione da compiersi prima di mettere mano a tutte le altre.

L’Unità 05.06.14

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