Sbloccare l’Italia partendo dalle opere pubbliche ferme da anni e dalla lista di strade, ponti, ferrovie e palazzi incompiuti o mai nati che i sindaci dovranno preparare entro i prossimi quindici giorni. In attesa di tali elenchi, per farsi un’idea della portata dell’operazione annunciata ieri dal premier, basta saltellare fra i parziali promemoria delle opere messe al palo perché contestate, bloccate, sommerse dalla foresta degli adempimenti burocratici o semplicemente rimaste senza copertura finanziaria. Matteo Renzi ha fatto due esempi di «incompiuti»: l’area di Bagnoli e la tav Napoli-Bari, ma la lista è lunga e variegata. Si va dalle scuole cadenti alle aree industriali abbandonate, passando per gli impianti di produzione energetica, i tratti autostradali e quelli ferroviari
da anni fermi sulla carta.
Un parziale elenco di questi interventi mai decollati lo fornisce il Nimby forum gestito dall’associazione no profit Aris, che mette in fila i rigassificatori, termovalorizzatori, tratte ad alta velocità, discariche con i cantieri fermi o mai partiti. Il rapporto conta, in Italia, 372 opere pubbliche al palo. Si va dalla Centrale a biomasse di Ceppagatti, in Abruzzo, alla discarica di Bosco Stella in Lombardia. Opere che i residenti contestano perché ritenute inquinanti, a devastante impatto ambientale o viziate da carenze procedurali: impianti sui quali comunque sia, nel bene e nel male, non è ancora stata presa una decisione definitiva.
Ma quello delle opere contestate è solo un elenco parziale del «non fatto», al quale deve essere aggiunto — ad esempio — un altro nutrito gruppo di cantieri sui quali la cittadinanza avrebbe poco da eccepire, visto che si tratta d’interventi di riduzione del rischio idrogeologico. Se ne parla ogni volta che un pezzo d’Italia frana o una città si allaga per due giorni di pioggia, ma scordata l’emergenza poco resta. I costruttori dell’Ance fanno notare che qui c’è anche una questione di soldi, visto che negli anni della crisi, dal 2008 a quest’anno, i fondi messi a disposizione per la manutenzione ordinaria del territorio sono diminuiti del 71 per cento (da 551 a 159 milioni). Le cose, però, non cambiano di molto anche quando i finanziamenti sono stanziati, almeno sulla carta: da più di quattro anni sono disponibili 2,1 miliardi per interventi di manutenzione straordinaria, ma il 78 per cento delle risorse (1,6 miliardi) è fermo. Dei 1.700 cantieri previsti 1.100 non sono stati nemmeno avviati. Cosa non ha funzionato? Due cose, secondo i costruttori: «L’incertezza nell’effettiva disponibilità delle risorse « (i fondi sono stati stanziati nel 2009, ma il Cipe ne ha definito il quadro solo nel 2012) e «il mancato esercizio della regia statale
con la conseguenze affermazione di molteplici modelli di governance a livello regionale ». Dunque senza una Cabina di regia a Palazzo Chigi, organismo che il premier Renzi vuole ora introdurre, gli enti vanno in ordine sparso, ogni singolo sindaco o giunta regionale può dire la sua fermando i lavori.
Un’altra emergenza inderogabile con conseguente elenco delle opere da farsi — denunciata anche in un rapporto del Censis — riguarda l’edilizia scolastica: fra stanziamenti del governo, fondi di coesione e mutui della Bce sul piatto ora ci sono 7 miliardi, a disposizione per far partire 8.200 cantieri entro l’anno e 11 mila nel 2015. Operazione che, se andrà in porto, «sbloccherà» i guai e le preoccupazioni di molti sindaci.
In attesa delle loro lettere ed elenchi, le liste dei desideri stanno comunque prendendo già corpo: il sindaco di Perugia, per esempio, ha fatto sapere che la superstrada Perugia-Ancona è ferma da anni, che c’è l’area dell’ex carcere da riconvertire e un auditorium da realizzare; ad Ascoli è fermo al palo un progetto sull’ex area industriale; a Catania l’elenco è già stato stilato: ci sono quattro opere da sbloccare; a Roma la lista va dalla metro C al centro congressi della «nuvola» di Fuksas. Tutti i sindaci concordano però su un fatto: prima ancora di avviare lo «Sblocca Italia», il governo deve far sì che i comuni virtuosi, per gli investimenti pubblici, possano derogare dal patto di stabilità.
La Repubblica 02.06.14