Per arrivare a questo risultato è stato indispensabile un impegno collettivo davvero ragguardevole. Sindaci e amministrazioni dalle cinquanta e più sfumature di ideologie che hanno sistematicamente ritenuto più importante asfaltare campagne per la comodità dei loro elettori e lastricare piazze per la sagra dello gnocco fritto, governanti di corso lungo-lunghissimo oppure più o meno novelli che nel loro (per quanto breve) permanere in Parlamento han trovato modo di dissimulare “riforme” scolastiche nello spazio bianco fra due articoli di legge finanziaria, elettori, e molti erano ben genitori, che hanno ostinatamente votato chi questo faceva e questo prometteva di fare.
Se il 58% delle nostre scuole non è a norma, e molte di queste sono un vero pericolo, è perché un mare di persone per un mare di anni non ha ritenuto importante investire lì e un mare di altre gliel’ha permesso. Adesso un pezzo di verità è che a voler prendere in mano la scuola non si sa da che parte cominciare. Arrivano i dati Ocse e ci dicono che siamo in fondo per gli apprendimenti. Arriva il rapporto Censis e scopriamo che stare seduti in classe è più pericoloso che andare in bici in tangenziale. Ma un altro pezzo di verità è che bisogna avere la pazienza di distinguere. C’è purtroppo una geografia dell’insuccesso scolastico, che in parte, non sempre, anche qui si deve distinguere, in parte coincide con la geografia del degrado delle scuole. Perché esistono regioni e comuni che nelle scuole hanno sempre investito. Questi con lo sblocco del patto di stabilità a favore della scuola potranno (meritoriamente) investire nel perfezionamento del cappotto termico della loro scuola e acquisire meriti ecologici, altri potranno forse far smettere di piovere in aula. E poi: un conto è il degrado estetico, che conta eccome, ma che può essere combattuto e non esibito. Le pareti scrostate possono essere coperte di disegni di bimbi, o di carte geografiche. Ma altra cosa è il pericolo. Abbiamo costruito un mondo di strade, spazi pubblici, piazze, in cui bambini, persone, e anche animali, sono un fastidioso problema di sicurezza da risolvere. Per cui a scuola li portiamo in macchina i figli, e chissaquando diventano autonomi. Ma dobbiamo pensare che almeno in classe poi stanno al sicuro, abbastanza. Che i muri non crollano. E allora? E allora va certo bene liberare risorse per le scuole, da qualche parte bisogna cominciare e però ci vorrebbe qui un (impopolare) frullato di solidarietà nazionale. Perché vien da dire che sarebbe ovvio finanziare prima di tutto le 3600 scuole che hanno problemi alle strutture portanti e sembra incredibile che possano esistere scuole così. Far partire con il piano straordinario per l’edilizia scolastica anche un piano straordinario di condivisione, fra chi la scuola l’ha sempre avuta in mente e chi invece, sciaguratamente, no. Perché i bambini son bambini, tutti ugualmente pieni di diritti. E la favola della cicala e la formica è solo un mostruoso inno all’egoismo che uccide la convivenza. Che uccide e
basta.
La Repubblica 01.06.14
******
“Qui si sbriciola il futuro”: l’emergenza, di CORRADO ZUNINO
Ci sono 4.400 segnalazioni dai sindaci d’Italia, ora impacchettate in un ufficio di Palazzo Chigi. Ogni tanto il premier Renzi fotografa il pacco a doppio spago
e twitta la foto: «Abbiamo iniziato a smistare le lettere dei primi cittadini, le scuole da rifare». Sono ottomila i sindaci in Italia, quindi uno su due ha una scuola malmessa nel suo territorio. L’iniziativa di governo, che si è chiusa lo scorso 15 marzo, prevedeva la segnalazione dell’istituto nelle condizioni peggiori. Soltanto uno. Molti sindaci
non si sono contenuti e hanno allegato l’elenco: «Caro collega, ti segnalo poi…». Renzi è il collega.
Il sindaco di Avezzano provincia dell’Aquila, Gianni Di Pangrazio, ha scritto una lettera al premier per ringraziare e segnalare. «Condivido in pieno la tua scelta di partire con l’azione di governo dando priorità alle scuole poiché è
lì che si formano le nuove generazioni. Ad Avezzano, terra ballerina, stiamo lavorando da tempo, con i tempi biblici della burocrazia, per avere la disponibilità dei fondi del progetto “Il futuro in sicurezza” ». In quell’elenco di edifici congelati dalla burocrazia non c’è, tuttavia, la scuola simbolo di Avezzano, l’immobile Corradini-Fermi. È degli anni Venti, è un Deco, è vincolato per comprensibili ragioni storico-architettoniche. Di Pangrazio l’ha scelta tra tante. «Non possiamo toccarlo per mille ragioni, ha bisogno di un intervento di consolidamento». Rischia di venire giù, serve l’azione coordinata dal governo.
A Villafranca in Lunigiana il sindaco Pietro Cerutti ha chiesto — dritto per dritto — 3,9 milioni da investire nel nuovo plesso scolastico pensato per ospitare un liceo scientifico e l’Istituto professionale Belmesseri. Con il primo miliardo e due speso sono fermi alle strutture portanti. I liceali di Villafranca sono costretti nel vecchio convento di San Francesco e così hanno scelto di affiancare l’iniziativa del sindaco con una cartolina a testa recapitata al presidente del Consiglio: fotografa lo stato dell’arte del nuovo plesso antisismico.
Il Comune di Livorno ha indicato le scuole medie Pazzini di via San Gaetano: c’è già un disegno per rifare la copertura in alluminio e migliorare l’efficienza energetica, risistemare la facciata e dare la possibilità di un accesso civile alle aule per chi ha difficoltà. Un ascensore, un nuovo percorso per andare in palestra. La ristrutturazione dei bagni. Costa, tutto, 703 mila euro. Già che c’era il sindaco Alessandro Cosimi ha raccontato a Renzi di tutte le scuole bisognose di interventi a Livorno: cinquantuno tra nidi, materne, elementari e medie per un costo di 3,7 milioni. «Non sbricioliamo il futuro dei nostri ragazzi».
In Veneto le lettere inviate al premier sono passate, per conoscenza, all’attenzione dell’Ufficio scolastico, che così ha realizzato un censimento locale. Solo per la riqualificazione e la bonifica dall’amianto sono stati presentati 203 progetti: ne sono andati avanti 83. Servivano 150 milioni, ce ne sono 10. A Belluno il sindaco Jacopo Massaro chiede 5 milioni per restituire a trecento scolari la principale scuola elementare, la Aristide Gabelli. Padova ha individuato la primaria Ardigò: il progetto preliminare è pronto, mancano 700 mila euro, potrebbero arrivare con lo sblocco del patto di stabilità sugli investimenti per l’edilizia scolastica (decreto 66, a giorni convertito in legge). Per l’intera città ci sono 10,6 milioni pronti, fin qui non si sono potuti toccare per l’austerity imposta dall’Unione europea. A Cesena il patto di stabilità ha fermato l’ampliamento del complesso di San Vittore (6,4 milioni, Iva compresa).
Anche un sindaco d’opposizione come il leghista Flavio Tosi ha presentato l’elenco di necessità per Verona: «Speriamo non sia la solita l’elemosina». Federico Pizzarotti, Cinque stelle inquieto, ha scritto al “caro Matteo” per avere fondi per tre strutture di Parma. Una, è la contestata scuola europea: costata 35 milioni, non è finita. Il Comune di Ariccia alle porte di Roma ha puntato alto e chiesto la realizzazione di un polo scolastico «in grado di includere in un unico, ampio e moderno spazio tutto il ciclo dell’obbligo e dell’infanzia ». Progetto ambizioso, mancano 13 milioni. «Si possono recuperare con la vendita delle cubature delle scuole Bernini e via Vittoria», ha assicurato il sindaco Emilio Cianfanelli.
A Bari lo spot si è acceso sulla materna Regina Margherita nel rione Madonnella, a Foggia sulla media De Sanctis. Il sindaco di Andria, Nicola Giorgino, vorrebbe riaprire il Riccardo Jannuzzi nel quartiere di Santa Maria Vetere: è una secondaria, chiusa dal sisma del 2002. Servono 3 milioni. Ecco, il terremoto che colpì San Giuliano di Puglia, Campobasso. Ventisette bambini e una maestra morti schiacciati. Progettisti, costruttori, tecnico comunale, sindaco dell’epoca: tutti condannati in Cassazione. Il sindaco in carica, Luigi Barbieri: «Dopo la nostra tragedia gli sforzi fatti sono stati pochi».
La Repubblica 01.06.14
*****
Nelle scuole italiane 342 mila alunni vicini all’amianto
E in 24 mila istituti impianti fuori norma, di Valentina Santarpia
Per il ministero delle Infrastrutture, ci vorrebbero 110 anni per mettere in sicurezza tutti gli edifici scolastici italiani. Per il presidente del Consiglio Matteo Renzi basterebbero tre miliardi e mezzo, da sbloccare entro il 2014. Ma queste sono le ipotesi. I fatti sono altri: 24 mila scuole statali su 41 mila, cioè poco meno di sei su dieci, hanno gli impianti (elettrici, idraulici, termici) che non funzionano, sono insufficienti o non a norma. Novemila strutture hanno gli intonaci che cadono a pezzi, in 7.200 edifici bisogna rifare tetti e coperture, 3.600 sedi necessitano di interventi sulle strutture portanti, 2.000 sono quelle che espongono i loro 342 mila studenti al rischio amianto.
I numeri snocciolati dal «Diario della transizione» del Censis, che fa il punto sullo stato dell’edilizia scolastica, non fanno che confermare i rapporti di Legambiente, Cittadinanza attiva, e le segnalazioni che giungono ogni giorno da decine di scuole di tutta Italia. Eppure fanno l’effetto di uno schiaffo in pieno viso. Perché una cosa è stilare aridi bilanci di interventi necessari, e altro è rendersi conto che alla maggior parte delle nostre scuole, il 57%, basterebbe tenere in piedi la manutenzione ordinaria per poter garantire una permanenza dignitosa nelle aule a migliaia di studenti: lo dicono i 2.600 dirigenti scolastici consultati, che segnalano come solo il 36% delle scuole abbia bisogno di manutenzione straordinaria, quindi di interventi speciali e specifici.
Nella maggioranza dei casi basterebbero i lavoretti comuni che si fanno in qualsiasi casa per evitare che diventi malandata. Eppure parliamo di edifici vetusti, che risalgono anche a settant’anni fa: più del 15% è stato costruito prima del 1945, un altro 15% è datato tra il 1945 e il 1960, il 44% risale al ventennio 1961-1980, e solo un quarto è stato costruito dopo il terremoto dell’80, quindi adeguandolo alle nuove norme antisismiche.
Ma i lavori, anche quando si fanno, sono fatti male. Sempre stando alle considerazioni dei presidi, che hanno valutato la qualità degli interventi realizzati in oltre 10 mila edifici scolastici pubblici negli ultimi tre anni, sono più di un quarto le strutture in cui sono stati fatti interventi inadeguati, se non addirittura sbagliati: l’abbattimento delle barriere architettoniche è risultato scadente o insufficiente in una scuola su cinque, il 22,5% dei lavori di manutenzione ordinaria non è andato a buon fine, il 33,7% delle reti digitali è risultato scarso, come il 32,8% delle opere di manutenzione straordinaria. È un problema di risorse, ma anche di utilizzo di risorse. Fino ad oggi la farraginosa macchina burocratica ha previsto che le scuole potessero ricevere fondi solo dopo una serie di complessi passaggi che prevedevano l’intervento di uffici scolastici regionali, Regioni, sindaci e ministero dell’Istruzione (Miur): una macchina burocratica lenta e pesante in cui sono spesso rimasti incastrati i buoni propositi.
Dei 500 milioni di euro attivati con le delibere Cipe del 2004 e del 2006, a metà del 2013 ne erano stati utilizzati 143 milioni, relativi a 527 interventi sui 1.659 previsti, rileva il Censis. È andata un po’ meglio con i fondi europei: il programma operativo 2007-2013 gestito dal Miur e relativo al Fondo di sviluppo regionale attivo nelle regioni Campania, Calabria, Sicilia e Puglia, ha assegnato più di 220 milioni di euro a 541 scuole per interventi sulla sicurezza degli edifici, il risparmio energetico, l’accessibilità delle strutture e le attività sportive. Il dl fare, varato dal governo Letta, ha stanziato 150 milioni per l’avvio immediato di 603 progetti di edilizia scolastica: «La recente assegnazione del 95,7% di queste risorse rappresenta sicuramente un cambio di passo», sottolinea il Censis. Ma bisogna ammettere che se di soldi in ballo ce ne sono tanti, finora se ne sono visti troppo pochi.«I dati diffusi non ci colgono impreparati — replica il sottosegretario all’Istruzione con delega all’edilizia scolastica, Roberto Reggi —. Il governo conosce bene la situazione. Proprio per questo abbiamo in programma già oltre 8.200 interventi da far partire nel 2014. Altri undicimila scatteranno all’inizio del 2015. Con le opere previste solo quest’anno interesseremo circa un quarto delle scuole e quindi due milioni di studenti». Bisogna aspettare, dunque: che le ipotesi si trasformino finalmente in fatti.
Il Corriere della Sera 01.06.14